Montage METAMORPHOSIS
[Uscita: 25/11/2016]
Finlandia
Bisogna proprio andare a leggersi i nomi riportati nell’interno della copertina del CD (Vesa Paavonen voce, Roni Seppanen chitarra e cori, Jukka Parkas tastiere e cori, Taneli Tulkki basso e Kim Etelavuori batteria e cori) per rendersi conto che i Montage sono finlandesi, perché appena parte il CD nel lettore ci troviamo di fronte a un sound a stelle e strisce che più FM USA non si può: chitarre madide del sudore di band come Foreigner, Cheap Trick, Head East, Ironhorse, sfornano riff accattivanti e dall’azzeccato gusto melodico, spesso alternati (come nella traccia d’apertura, Age of Innocence) ad arpeggi più soavi ed intimisti. Ma è quando il tastierista Parkas si prende la scena, con gustosi soli di minimoog come nella già citata Age, con divagazioni di piano elettrico dal giusto jazz-rock/fusion, come in Nature’s Child, o con raffinate intro pianistiche, come in Black Magic, che si evolve in un azzeccato riff tastiere/chitarra costruito su un tempo dispari, che la band assume un inaspettato e godibilissimo profilo “proggy”, pur senza strutture eccessivamente complesse, con un gusto molto melodico in primo piano e con una durata media delle tracce sempre oscillante tra i 4 e i 5 minuti, ma rigorosamente sotto i 6. In questi costrutti così ricercati e immediati al tempo stesso (e le due cose convivono con equilibrio), pur sommerso dai veloci virtuosismi chitarristici di Seppan, in realtà Parkas è sicuramente l’elemento di spicco della band, troppo spesso in ombra rispetto a quanto di certo meriterebbe.
Ciò che lascia invece un po’ perplessi è la scelta del nuovo cantante Vesa Paavonen, che sostituisce Mikko Heino, presente sul precedente album (del 2014). Paavonen è tecnicamente bravissimo, senza ombra di dubbio, ma un sound così in bilico tra hard e prog come quello dei Montage avrebbe certamente meritato una voce più alta, limpida, ma al tempo stesso pastosa. Il timbro più spesso giocato sui toni medi di Vesa non sfigurerebbe in un disco di quel classic rock profumato di new-wave come quelli che, a cavallo tra ’70 e ’80, venivano sfornati da gruppi come Men at Work, Dire Straits, o finanche Jerry Rafferty. Se invece nei Montage ci fosse stato un Jean Pageau dei Mystery (quando dal vivo si siede al piano sembra una vera e propria reincarnazione di Dennis DeYoung) sarebbe bastato il suo intervento per fare di questo valido disco un disco memorabile.
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