Catherine Graindorge & Hugo Race LONG DISTANCE OPERATORS
[Uscita: 9/02/2017]
Belgio-Australia #consigliatodadistorsioni
Suoni notturni, lievemente inquietanti aprono il nuovo progetto della violinista belga Catherine Graindorge e del nomade della musica Hugo Race a distanza di una precedente collaborazione lontana un lustro fa. Ma rispetto al lavoro del 2012 “The Secret of Us All”, non a caso uscito a nome soltanto della brava violinista Catherine Graindorge e ascrivibile in toto a lei, nel quale Hugo Race collabora e canta soltanto in due brani, adesso questo "Long Distance Operators" è opera ascrivibile completamente al lavoro comune dei due musicisti. Come primo effetto la presenza della voce segna profondamente la cifra stilistica del disco integrandosi perfettamente col violino della Graindorge, un'artista che rivela qui una grande sensibilità che la fa spaziare dal minimalismo al post rock alla neoclassica.
Così il suono del violino dialoga con le tessiture inquiete della chitarra, spesso distorta e riverberata, e con un'elettronica che non invia ai grandi spazi e alle suggestioni futuristiche, ma al contrario crea emozioni che rimandano al mondo dei ricordi o delle illusioni, tutto in accordo con testi molto spirituali, dal forte sentimento romantico, dubitativi e incerti come impone spesso la vita: «Did you forget how to play? Sing like a child? Without pretence you can’t beg down because there’s no escape“. Testi importanti, non a caso è frequente il ricorso al recitativo dello spoken word sia da parte di Race che della Graindorge, in francese nella sommessa On Ice.
E' Immortality la traccia che forse meglio rappresenta la forza espressiva e l'atmosfera di questo eccellente lavoro: la voce di Race si fa narrante in uno spoken word di grande suggestione, la chitarra è pizzicata veloce e nervosa, mentre il violino si innalza a poco poco in un lirismo dall'intenso romanticismo che ci fa vagare in un universo metafisico commovente e sfuggente, una canzone da brividi difficilmente dimenticabile. E certo non da meno è I Call on You, suoni minimali accompagnano la voce melodiosa come non mai di Race, l'aria si fa sospesa e struggente, c'è qualcosa di ancestrale, di antico che il violino, i riverberi e le distorsioni rendono via via più scuro e torbido, un sogno che dapprima morbido e sensuale va sfumando verso irrequietezza e smarrimento.
Il suono fluisce in un'atmosfera di grande compostezza e misura, ma in alcuni momenti si ha la sensazione che qualcosa stia per deflagrare, la tensione possa irrompere nell'aria ovattata, intima, addirittura sacrale, racchiusa nella dimensione della notte e del sogno, ma questa tensione rimane come compressa, tenta di affacciarsi nei suoni distorti della chitarra o nelle macchie elettroniche che qua e là si propagano, come in Night Unreal o nel sommesso strumentale By Stealth nel quale anche il violino contribuisce a lasciare in chi ascolta un senso di sospensione e di tensione drammatica che si muove sotto traccia e 'di nascosto'. Come avviene in Brother Sister, in cui un violino dolente e sacrale immerge in una tesa e scura atmosfera metafisica accompagnato dal canto da soprano di Laura Carè o nell'ambient raggelante di Blind Faith.
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