Hugo Race Fatalists 24 HOURS TO NOWHERE
[Uscita: 27/05/2016]
Australia #consigliatodadistorsioni
Un buon bicchiere di whisky, di quelli ben invecchiati, che sorseggiato inonda il palato di note torbate, affumicate, carico della fragranza del legno in cui ha trascorso qualche decennio, i complessi profumi delle verdeggianti colline e la selvaggia salinità delle onde dell'oceano: ogni sorso è un ricordo, un'emozione, una piacevole sensazione, non esente da qualche nota amara e malinconica. Vale lo stesso per la musica di Hugo Race, uno dei songwriters per cui più passa il tempo e più ricca, intensa e variegata diventa la produzione artistica. E questa è una qualità rara nel rock, musica per sua natura intimamente giovanile, dove spesso un artista dà il meglio di sé a inizio carriera, e il trascorrere del tempo rischia di logorarne l'ispirazione. Al contrario in Hugo Race, nella sua voce, nella sua musica si stratificano e lasciano tracce i segni della vita e della musica che scorre nelle sue vene. Le canzoni, i versi, la musica sembrano acquisire maggiore spessore arricchite dalle esperienze che la vita porta con sé. In questo “24 Hours To Nowhere” Race ci offre il suo lato più intimo e personale, da songwriter di razza qual'è, canzoni sincere, suonate e cantate con quella passione e quell'intensità che solo quando sono il frutto di una vita vissuta riescono a dare.
E' questo il terzo disco che Race incide con i Fatalists, cioè con i nostri romagnoli Sacri Cuori, ma vi partecipano anche altri amici di lunga data che hanno diviso col musicista australiano altre esperienze musicali; così c'è Michelangelo Russo dei True Spirits, Davide Mahony e Giovanni Ferrario dei Sepiatone, Angie Hart dei Frente, Vicky Brown al violino e Julitha Ryan al violoncello.
Una formazione che dà vita ad arrangiamenti molto calibrati e misurati, di matrice folk e fondamentalmente acustici; gli archi e l'elettronica contribuiscono a dare pennellate in chiaroscuro che sottolineano il mood malinconico nostalgico e la forza evocativa della musica. Otto bellissime, emozionanti canzoni originali e due magnifiche cover, I'll Never Happen Again del grande Tim Hardin e la byrdsiana Ballad of Easy Rider, costituiscono la scaletta del terzo lavoro di Race uscito in un anno, a cui va aggiunto il suo primo libro pubblicato in primavera e non ancora giunto nelle nostre librerie.
Fondamentali anche i testi, ricchi di metafore e rimandi, dai significati complessi e stratificati, con immagini fortemente evocative e disturbanti. È piena di dolore la title track («sei piena dell’agonia della vita di tutti i giorni / non posso lasciarti andare amore / o finirai nei guai»), storia di un amore che finisce cantata insieme ad Angie Hart, la cui voce apre qualche squarcio di luce nell'oscurità inquieta evocata.
E come non commuoversi di fronte alla straziante dichiarazione d'amore di We Were Always Young che si intreccia al tema della morte e del passare del tempo (« io assaggio le tue lacrime sulle mie labbra / in questo selvaggio mondo notturno / devi avere fede / prega che i nostri sogni diventino realtà / per te che brilli di vecchio / noi siamo sempre stati giovani / la nostra immortalità è appena cominciata»)?
Ma è forse No Gods In The Sky il capolavoro del disco, un brano di un'intensità straordinaria, di una dolcezza aspra e malinconica da lacrime agli occhi. Il suo testo parla di memoria, speranza, difesa da un mondo di menzogne (« dato che niente di tutto questo è reale / c’è ancora speranza nei tuoi occhi / calde lacrime di luce accecante / estati trascorse, il tempo continua a scorrere / per il cantante non per la canzone »; For The Singer Not For The Song, ricordiamolo, è una canzone degli Stones del 1965, una citazione o casualità?). In ogni caso un altro grande album dall'anima nomade di Hugo Race.
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