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13 Novembre 2012 , ,

Soundgarden KING ANIMAL

2012 - Mercury
[Uscita: 13/11/2012]

SOUNDGARDEN – King Animal  Mercury  Eccolo qui il ritorno dei Soundgarden dopo lo scioglimento avvenuto nel 1997 a seguito del flop di “Down On The Upside”, loro ultimo disco in studio. Disco poco ispirato che ebbe anche la sfortuna di arrivare dopo il loro album più famoso, quel “Superunknown” edito nel marzo del ’94, che era riuscito nell’intento di mettere d’accordo pubblico e critica ma che di fatto arrotolò la pergamena del grunge, alla quale la fucilata che si tirò Kurt Cobain giusto un mese dopo pose il sigillo. Dopo lo scioglimento, la maggior visibilità la ebbe Chris Cornell i cui dischi da solista, specialmente il penultimo, presero dalla critica solamente dei sonori schiaffoni. Non che le cose gli siano andate artisticamente molto meglio con il progetto Audioslave in combutta con Tom Morello, autori di un paio di album ben suonati e prodotti ma con quella brutta aura mainstream ad aleggiargli intorno. Neppure gli altri ex giardinieri hanno fatto chissà quali sfracelli, e siccome il lunario va in qualche maniera sbarcato perché non riprovarci? Reunion già anticipata nel 2010, anno che vide la pubblicazione della doppia compilation “Telephantasm” e la partecipazione all’edizione del Lollapalooza di quell’anno; a completarla arriva questo nuovo album, con l’aiuto di Adam Kasper in cabina di regia.

 

Questo disco è tutt’altro che brutto, i ragazzi (si fa per dire) si sono impegnati a dovere e lo sforzo per cercare di rinverdire gli antichi fasti si sente: l’ugola di Cornell è ancora bella potente, la sezione ritmica di Matt Cameron e Ben Shepherd gira a mille, la chitarra di Kim Tahyil è sempre ben riconoscibile e la produzione è praticamente perfetta per un prodotto del genere. Il problema non sono i Soundgarden e nemmeno questo loro nuovo King Animal , il problema è che i tempi e i gusti, ma anche l’approccio stesso al fare musica, sono radicalmente cambiati. In tutta onestà, e ve lo dice chi di Cornell e soci era addirittura iscritto al Fan Club, ho faticato ad arrivare al fondo del disco. Ho sperato davvero che questo album avesse almeno il pregio di farmi tornare la voglia di riscoprire i vecchi classici del periodo (e tra i Nevermind e i Ten  ci metto pure Louder Than Love, Badmothorfinger e quella gran bellezza che era stato l’unico disco dei Temple Of The Dog ), invece niente, tutto piatto. Con l’inquietante aggiunta di un pizzico di fastidio. Semplicemente questo tipo di sonorità non mi appartiene più e un po’mi dispiace: significa che una bella fetta di tempo se n’è davvero andata per cui lascio giudicare questo album a chi ancora crede in questo stile fatto di voci stentoree, di riffoni sabbathiani e di ritmiche martellanti. Per il sottoscritto il disco più inutile dell’anno. Pazienza, vado ad ascoltarmi Rusty Cage, nella versione American di Johnny Cash però. Vediamo che effetto fa.

Roberto Remondino

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