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4 Marzo 2015 , , ,

Dan Deacon GLISS RIFFER

2015 - Domino Records
[Uscita: 24/02/2015]

USA   #consigliatodadistorsioni     

 

deacon_glissrifferDan Deacon, lo gnomo di Baltimora riabbraccia gli esordi e li fonde con il più adulto spirito cantautorale mostrato in "America" (2012), cambiando però approccio in fase di registrazione. La presenza di strumenti acustici suonati di fianco a strumenti elettronici viene interamente soppiantata da samples, o micro-campionamenti degli stessi. Dunque l’impatto iniziale non sembrerà incoerente rispetto al passato, ma il piano, lo xilofono, la marimba, il glockenspiel e la batteria (nonché largamente anche la voce) sono ridotti a pezzetti preregistrati come il resto della (bizzarra) fucina sonora finora giunta al pubblico. Qua e là troviamo solo il synth e la voce a suonare dal vivo. Dan Deacon è sempre stato affascinato dal glissando – ovvero l’innalzare o l’abbassare costantemente un suono - nelle sue partiture, applicandolo ad ogni strumento e rendendolo perno onnipresente per i repentini cambi di ritmo che hanno sempre caratterizzato la sua opera: da questa idea, sviluppata quasi all’inverosimile, nasce “Gliss Riffer”.  “...it’s just a ride” diceva il genio comico visionario Bill Hicks riguardo la vita tutta, mentre il musicista sembra intendere quest’ultima come una serie di giri di giostra, idealmente come ognuno dei suoi dischi, nei quali lo spettatore è invitato a salire per fare un coloratissimo, luccicante e fragoroso giro ad ogni nuova uscita. Il tessitore sopraffino di minimali pattern – o schemi – sonori ricavati da campionamenti e sottoposti a sequenziali ricorrenze comincia con Feel the Lighting, Sheathed Wings e When I Was Done Dying, un terzetto che mostra il cantautore digitale di America alle prese con il consueto strofa-ritornello della musica popolare dove però, al di la della lapalissiana ricerca – senza soluzione – del relax o fuga dall’ansia evinte anche dai titoli delle canzoni (Learning To Relax forse l’esempio più palese), ci fornisce prove di ciò che in maniera più evidente avverrà nella seconda parte del disco. 

 

DanDapprima ritornello con melodia in una canzone corroborata da testo per intero, poi assenza di melodia nello stesso, e infine assenza di testo significante a favore della melodia. L’ormai consueta voce da cartone animato è qui come in Mind on Fire più pacata, adulta, rispetto al passato. Con Meme Generator inizia in maniera più netta la decostruzione del formato canzone pop: l’artista-produttore disfa e ricompone lasciando un ingrediente fuori dalla mischia ad ogni nuova traccia, in continua sottrazione, ma la giostra non accenna a rallentare. Lo spirito compositivo orchestrale può quindi manifestarsi laddove manchi dapprima un testo o un ritornello, poi il radiotelevisivo limite massimo di durata, infine la melodia. Meme Generator, pur mantenendo la presenza di voci umane campionate e messe a frullare in innumerevoli micro-loop, è, appunto, il primo decisivo passo: per stessa ammissione del genio dell’assurdo di Baltimora questa pièce era stata pensata con un testo, come nel caso di Take It to the Max, ma per entrambe ha successivamente preferito il sound risultante da suddetta privazione. Sparendo i significati verbali ci si avvicina fino a toccare lo spirito deaconiano manifestato in “Spiderman of theDan-Deacon Rings” e “Bromst” (forse tuttora il suo apice), fatto di sensatissimo nonsense, ritmi ipnotici, ambientazioni da cartone animato fantasy-futuristico, shock sonori, micro-campionamenti e una scrittura della musica degna di un classico dell’ottocento ibridato ad un dj dance: questa è Take It to the Max, che insieme a Learning To Relax – altro eccellente esempio – formano la parte più scintillante di questo LP, una colonna sonora alla società moderna sempre più frenetica creata da un Philip Glass ottimista e infantile. La centrifuga raggiunge le velocità di inizio carriera, quindi non resta che rallentare la giostra per darci modo di scendere senza avere troppe vertigini: l’opera, sorprendentemente coesa, chiude con Steely Blues, dove insieme al ritmo da ballo diviene assente anche la melodia. Un lento crescendo solo simulato perché composto con lo stesso stile strato-aggiuntivo, ma privo di variazioni armoniche. Il suono acuto in loop, che in lenta dissolvenza chiude il discorso, sembra essere il fischio nelle orecchie di chi abbia assistito ad un concerto assordante o, meglio, di chi sia stato nel caotico parco giochi dell’artista. 

Voto: 8/10
Davide De Marzi

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