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6 Ottobre 2012 ,

Diana Krall GLAD RAG DOLL

2012 - Verve Records
[Uscita: 02/10/2012]

diana2# Consigliato da DISTORSIONI

 

Diana Krall appartiene a quella categoria senza tempo di jazz singers, o se preferite crooners, che non hanno mai fatto di tecnica fine a se stessa e di sterili equilibrismi vocali nè sfoggio, nè le loro armi vincenti: sto parlando del club esclusivo dei Chet Baker, delle Billie Holiday che hanno  lasciato ai posteri  preziose lezioni di essenzialità e purezza, ma  anche dello stesso  Elvis Costello, compagno nella vita della Krall, dallo stile vocale asciutto ed ineffabile.  L’accostamento di Diana Krall  a questi mostri sacri della musica del ventesimo secolo non è poi tanto infondato o azzardato: come il grande trombettista dal volto scavato o Billie, la donna travolta da mille casini esistenziali, il fascino interpretativo della bionda interprete è alimentato dalle calde e sottilmente erotiche pieghe della voce,  dai discreti sussurri di cui ‘costella’ (!) le curve melodiche ed armoniche delle songs.  Un po’ le stesse caratteristiche che caratterizzano il suo pianismo blues raffinato. 

 

Con “Glad rag doll”, suo undicesimo lavoro in studio Diana Krall si discosta in qualche caso dal carattere prettamente jazzistico che ha contraddistinto le sue cover passate, per delineare incantevoli mood di segno diverso, come le ballate (Wide river to cross, Glad Rag Doll, Lei it rain, Prairie lullaby). L’amore incrollabile dell’artista per il jazz  nel disco rimane comunque, e bello forte, anzi  assistiamo ad un raffinatissimo e garbato recupero delle sue radici di inizio ‘900: la Krall è andata ad esplorare minuziosamente la collezione di polverosi 78 giri di suo padre per scegliere  da una rosa di trentacinque songs una quindicina di brani  composti negli anni ’20 e ’30, classici a volte oscuri, di sapore rag, vaudeville e swing (There Ain't No Sweet Man That's Worth The Salt Of My Tears,diana krall  Here Lies Love,  We Just Couldn't Say Goodbye, I Used To Love You But It's All Over Now) per dare loro insieme all’abilissimo produttore-musicista T-Bone Burnett  (una garanzia) una nuova veste più consona ai tempi.

 

La selezione finale  dei brani scelti dalla Krall è stata rivelata solo al momento di entrare in studio. Per raggiungere il suo scopo Diana si è circondata di musicisti-session men di prima qualità, come il chitarrista Marc Ribot (Electric Guitar, Acoustic Guitar, 6 String Bass and Banjo), che in passato ha lavorato con nomi quali Tom Waits e Marianne Faithful, dal tocco nervoso e bizzarro inconfondibile, oltre che lo stesso T-Bone Burnett, e poi Howard Coward (Ukulele, Mandola, Tenor Guitar, Harmony Vocals), Jay Bellerose (Drums), Dennis Crouch (Bass), Bryan Sutton (Guitars), Colin Linden (Guitars, Dobro) Keefus Green (Keyboards, Mellotron). Un disco che vede trionfare ancora una volta l’immensa classe e raffinatezza espressive della Krall, e come si può constatare all’insegna, più che dei tasti bianchi e neri, delle corde, che spesso e volentieri  recuperano le sonorità nostalgiche e malinconiche del jazz manouche – o gipsy jazz – create nelle prime decadi del ‘900 dal famoso chitarrista Django Reinhardt. L’inconfondibile pianismo ‘blue’ di Diana ritorna invece puntuale in due suadenti brani presenti nella deluxe edition, Garden In The Rain e As long as i love.

 

Lavoro in bilico, dicevamo,  tra suggestioni  proustianamente profumate di antico e sussulti  modernisti, abbastanza diverso – giusto per stabilire delle coordinate artistiche – dal recente omaggio di Joe Jackson “The Duke” al repertorio swing di Duke diana krallEllington, da lui trasfigurato con mano molto decisa:  splendido e sottilmente inquietante  in tal senso l’arrangiamento del classico Lonely Avenue di Doc Pomus – con uno strepitoso Marc Ribot a creare sonorità spigolose - interpretato in passato anche da Ray Charles e Van Morrison, che pare uscito da una delle opere mitteleuropee di Tom Waits. Infine, come non essere infinitamente grati alla costumista Colleen Atwood ed al fotografo Mark Seliger per aver creato per “Glad rag doll”, insieme alla Krall, una serie di immagini straordinarie ispirate dai disegni di Alfred Cheney Johnston ritraenti le ragazze delle Zigfeld Follies degli anni 20? In quella riportata sulla copertina la Krall ci seduce – c’è bisogno di ribadirlo, credetemi - con una classe erotica che non ha eguali, siete d'accordo? “Glad rag doll” è opera ricca di fascinazioni che può tranquillamente essere apprezzata anche dai non jazzofili per la sua meravigliosa non ortodossia, uno splendido capitolo nella carriera di Diana Krall.

 

Voto: 7/10
Pasquale Wally Boffoli

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