Rival Sons FERAL ROOTS
[Uscita: 25/01/2019]
Stati Uniti
La migliore dimostrazione che il rock degli anni settanta ha avuto un impatto culturale sull’occidente paragonabile a quello di un cambiamento di paradigma sociale è l’impatto che a circa quaranta anni di distanza ancora esercita sulla produzione musicale contemporanea. Al di là della pelosa questione riguardo alla legittima eredità di volta in volta rivendicata da una o l’altra delle band che si spartiscono i celeberrimi quindici minuti di celebrità, ciò che si impone con la forza di un’evidenza innegabile è il fatto incontestabile che esiste ancora una eredità appetibile. Tuttavia facendo finta di stare al gioco, ci sembra che gli americani Rival Sons, a dieci anni da loro discusso esordio, abbiano voluto prendere le distanze dalla generale Zeppelin-mania e scientemente riproporre un epico scontro in sedicesima; il nuovo “Feral Roots” mima in modo quasi indisponente le movenze dei Deep Purple di “Stormbringer”. Salvo poi farcire il tutto con una ventata di Black Keys in grado di provocare quell’ondeggiare piacione che proprio Blackmore e soci non riuscivano a rigurgitare.
La piacevolissima potenza di Do You Worst è nient’altro che la narrazione tagliente di un incontro giocato feralmente, questo sì, ad altezze siderali laddove il marketing si scambia la maglia con l’arte. L’ugola di Jan Buchanan non delude, giganteggia in sicurezza e controllo, affermandosi definitivamente come una tra le migliori voci del rock contemporaneo; allo stesso modo la chitarra di Scott Holiday resuscita antichi furori sepolti da decenni di garbo elettronico. La seguente Sugar The Bone è il miglior esempio della grande crasi messa in musica dai Rival Sons, ritmo avvolgente, cori coinvolgenti e riff spaccaneuroni. E così il prosieguo del disco impegnato a dare una botta al cerchio e uno alla botte trovando negli anni settanta stemperati della title-track un punto di equilibrio precario, passando per le vene country di Look Away, per arrivare alla tentazioni doom, appena sussurrate, di Too Bad. Ma non basta, all’epoca di Spotify occorre mostrare non solo di essere eclettici, ma di esserlo quasi controvoglia, così come distrattamente accurato risulta il soul di Stood By Me variamente ripreso nella conclusiva Shooting Star. Un disco completo e sapientemente screziato che non lascia nulla al caso e che defibrilla il vecchio cuore rock con la gelida razionalità che oggi un prodotto artistico di successo si presuppone debba avere.
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