Newclear Waves NEWCLEAR WAVES
[Uscita: 4/05/2012]
Si riporta alla luce l’era del suono glaciale e scarno degli anni ’80. Un’operazione senz’altro coraggiosa che, attraverso una forma di revival fedele a certe sonorità underground della cold wave francese o del minimalismo elettronico più ispirato (imbevuto di oscura poesia decadente, tratteggiato da spunti eclettici sospesi tra ritmi metallici e liquide dilatazioni) riesce ad esaltare e rivalutare la vibrante espressività del suono analogico, incanalandolo verso nuove aperture e nuove commistioni che tirano in ballo sperimentazione e creatività, manipolazione sonora, ricerca di atmosfera, esplorazione cosmica e sensoriale. Il progetto Newclear Waves nasce essenzialmente dal talento di Alessandro Adriani (creatore della label Mannequin Records) dalla sua grande passione e sensibilità protesa al recupero, riletto in chiave futuribile e avanguardistica, del sintetizzatore, supportato dalla competenza tecnica della musicista russa Oksana Xiu. Al grande fiuto di Adriani dobbiamo rimettere pienamente il credito di aver ridato lustro e spessore a band come In Camera, Mass, Dance Chapter e aver portato alla ribalta artisti dello spessore artistico e rivelatore di Mushy, Ancien Régime, Der Noir.
Questo primo full lenght eponimo presenta dieci tracce impregnate di rarefatta caligine crepuscolare. Paesaggi siderali cristallizzati in cui prevale smarrimento e rapimento. Anfratti cupi e inquietanti in cui prendono vita giochi di luce e riverberi di colore prodotti dal suono meccanico del sintetizzatore. Un continuo spaziare tra imperturbabile vuoto di ghiaccio e calore di ritmi metronomici, voci marziali e sferragliare sincopato che si anima in pulsante sincronia armonica. Si rinnova il prodigio mistico di sospensione onirica di Daniel Miller, le eco affioranti e galleggianti tra i crateri lunari e lattiginosi dei Normal, l’oscurità criptica delle produzioni della Mute e 4AD, perfetta elaborazione tra smarrimento post industriale, desolazione, tumulto sotterraneo e sibilante di anima moribonda in pieno delirio identitario. Un cammino che trova tratti di stasi, come in una specie di camera iperbarica, di conservazione in cui tutto si appiattisce in soluzioni a volte troppo statiche o diluite (The Path of Spiders' Nests) o in un dance beat di maniera (The black hand, Fading), che denuncia inevitabilmente anche la passata attività da Dj di Adriani; ma anche aperture panoramiche impreviste e di grande spessore e originalità: Dust, The Rain of Iron and Fire, Tishina.
In realtà è tutto parte di uno stesso gioco di ricerca e di grande entusiasmo sottilmente attento a non debordare nella rievocazione celebrativa di un già detto o peggio nell'eccesso accademico del volersi prendere troppo sul serio. La freschezza, il galleggiamento inquietante, le sferzate contagiose, tutto è volto a costruire un nuovo impianto assai ben dosato e per nulla compromissorio di rivalutazione. C'è un equilibrio saggio tra nostalgico e futuribile, alieno e familiare, semplice ed elaborato, squadrato e fantasioso, etereo e pulsante che riesce a restituire merito ad uno stile a volte sottovalutato e banalizzato e a raccoglierne l'eredità più effervescente e bizzarra: quella di poter aggiungere un tocco della propria interiorità capace di far parlare alle macchine un linguaggio diverso.
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