Makhno LEAKING WORDS
[Uscita: 15/03/2018]
Sotto il moniker nemmeno troppo velatamente anarchico di Makhno, Paolo Cantù è arrivato alla terza tappa del suo percorso in solitaria. Rispettivamente, dopo “Silo Thinking” (2013) e “The Third Season” (2015), “Leaking Words” è una specie di approdo a una nuova fase dell’artista piacentino. Avendo seguito con interesse ed avendo apprezzato i suoi ultimi due lavori, possiamo avere in mano tutti gli elementi che ci consentono di interpretare al meglio le coordinate direzionali scelte. Sono tre decenni che Cantù scrive le note a margine del panorama musicale underground. La sua presenza trasversale non è secondaria per capire le inquietudini e i fermenti covati sotto la cenere degli accadimenti ordinari. Ha incarnato varie spinte propulsive più o meno sovvertitrici militando in band come Tasaday, Afterhours, Six Minute War Madness, A Short Apnea, Uncode Duello. La sua maturità artistica necessariamente deve provare a dare compiutezza ed equilibrio a quelli che potevano essere manifesti rabbiosi di aspirazioni e ideali repressi, di creatività e vibrante tensione, contestualizzate in un climax specifico, che esigeva rotture nette, voglia di avanscoperta e di protagonismo barricadero. Questa triade può essere compresa e assimilata in questa ottica che ne delinea coerenza di ricerca, capacità di progredire e viva passione nel porsi di fronte a nuove sfide, provare a decifrare nuovi interrogativi.
Ha le idee molto chiare Paolo Cantù, è ostinato e tenace come la sua musica che legge la nostra realtà e la respinge con foga, è sicuro di poter sempre intravedere alternative più valide e più vere. Non abbiamo più i primitivismi scarni, feroci, incompiuti nello sperimentalismo mutante dei Tasaday, molto affini all’estetica da tribalismo industriale post apocalittico e post strutturalistico di This Heat e Pop Group. Gli anthem e le invettive rattenute dai denti e poi sputate con veemenza sono sempre quelle del fedelissimo Federico Ciappini ma questa volta non si incita alla carneficina impugnando la pistola. Le stilettate arrivano direttamente dal modo in cui si fanno interagire gli strumenti. La portata più drammatica e se vogliamo tragica di questo lavoro, paradossalmente, non sono i testi, sebbene aspri, nichilistici. Sono i suoni che procedono spastici, laceranti, densi di una grevità plumbea, di energia ingabbiata. Si parte con gli overdub de La Ragazza in Coma che amplificano i rimandi procedurali ai due album di riferimento. Si potrebbe pensare a una indulgenza tanto rigida e compiaciuta quanto scontata, ma poi tutta la narrativa dell’album, nei suoi otto episodi, tradisce e sovverte le premesse con azzardi spiazzanti e inattesi. Le traiettorie sono sconnesse, del tutto irrazionali. Orge rumoristiche, drumming marziale, grovigli sferraglianti di una chitarra immolata a una decostruzione noise. Slowing Down (An Aspect as a Whole) e You Can't Run the Church on Hail Marys sono consapevolmente sbrandellate, insistono nel voler tenere in piedi una forma canzone che si erge dalle proprie ceneri, che si rinvigorisce nutrendosi di scorie, che si giustifica stratificandosi e segmentizzandosi. Sunday Clouds è il più emblematico degli schizzi, sospeso tra astrattismo avanguardistico e misticismo elegiaco. Ma anche Can The World Be As Sad As it Seems fa collidere in una deliquescenza impensata e liberatoria una serie di poliritmi sincopati, nervosi e spigolosi. Sembra per un attimo che Paolo butti indietro lo sguardo, tradendo un pizzico di nostalgia (e penso ai Silenzi Incessanti di malinconica decadenza, nda) ma l’indugio è breve, “Leaking Words” ha il sapore di una spoliazione definitiva di una pasqua esistenziale.
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