Afterhours FOLFIRI O FOLFOX
[Uscita: 10/06/2016]
#consigliatodadistorsioni
Il lutto è sempre uno spartiacque, un segno indelebile che costituisce la misura del tempo e di quello che rimane di noi. Perché la morte è il tradimento di un patto, la rappresentazione del passaggio stretto che conduce all'età adulta e che squarcia il velo del tempio delle illusioni. Dall'ascolto di “Folfiri o Folfox”, denominazioni di due farmaci chemioterapici, si percepisce una sorta di inesorabilità in quello che si presenta come l'album dalla maggiore densità autobiografica.
La scrittura di Manuel Agnelli, profondamente connotata dal tema personale della scomparsa del padre, assume una valenza universale nel definire la propria poetica della vita, della morte e di quella trasformazione che ci porta a diventare noi stessi attraverso il dolore. Siamo in presenza di un nuovo inevitabile corso nel cammino degli Afterhours, dovuto all'ingresso in pianta stabile di Stefano Pilia e Fabio Rondanini al posto di Giorgio Ciccarelli e Giorgio Prette. Il peso del cambio nella line up si avverte in un suono complessivamente meno feroce ma più maturo e misurato, dove le personalità e le esperienze di ciascuno emergono inglobandosi reciprocamente con assoluta naturalezza all'interno di una quadratura dalla resa sonora perfetta, grazie anche alla accuratissima produzione di Tommaso Colliva e dello stesso Manuel Agnelli.
Ne esce fuori forse il lavoro più complesso che gli Afterhours abbiano mai licenziato: diciotto brani profondi e stratificati, suddivisi equamente in due dischi in cui episodi dall'impronta più riconoscibile convivono con tracce più spigolose ed episodi strumentali caratterizzati da derive sperimentali, il tutto con picchi di assoluta eccellenza. Il primo disco si apre con Grande, uno dei brani più struggenti mai scritti da Agnelli, sintesi programmatica dell'intero album, con un climax emotivo quasi insostenibile per intensità; dopo avere ripreso fiato arriva il pugno nello stomaco con l'invettiva di Il mio popolo si fa, ma è solo una piccola parentesi, perché subito dopo arriva un'altra gemma, la pianistica L'odore della giacca di mio padre dallo spessore cantautoriale. Se Non voglio ritrovare il tuo nome è un instant classic, la successiva Ti cambia il sapore è l'evoluzione del suono di “Hai paura del buio?”, così come lo stoner di Qualche tipo di grandezza; in chiusura, gli splendidi violini elettrici di Lasciati ingannare (una volta ancora).
Oggi apre il secondo disco ed è ancora stupore, mentre dopo il sabba elettrico di Folfiri o Folfox incontriamo la micidiale Fa male solo la prima volta e la desolazione di Noi non faremo niente, prima di approdare a Nè pani né pesci, altro pezzo forte dell'album. Da segnalare l'amara ironia di Fra i non viventi vivremo noi, con la sua micidiale macchina ritmica che richiama l'hardcore del recente progetto parallelo Buñuel di Iriondo, e il classicismo della scrittura di Agnelli nella conclusiva Se io fossi il giudice. Con Folfiri o Folfox gli Afterhours hanno pubblicato l'album più ambizioso, riuscendo nell'impresa di cantare la vita e la morte senza cadere mai nella retorica. Anche perchè, se si comprende che il dolore non è la vera destinazione, non si ha più paura del buio.
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