Afterhours PADANIA
[Uscita: 17/04/2012]
# Consigliato da DISTORSIONI
È che agli Afterhours proprio non riesce fare quello che fanno tutti. Forse ci hanno pure provato in passato, ma alla fine, se si risulta destinati ad essere pericolosi, conviene accettare questa natura. E guidati da una simile consapevolezza, prendere posizione innanzi agli pseudointellettuali in uniforme, provando a demistificarli partendo, per esempio, da tre semplici mosse: l’originalità del proprio lavoro, il coraggio di pensare che quel che si fa merita quanto più spazio e visibilità possibili, che l’elite e ogni forma di snobismo sono ridicole quanto inutili a qualsiasi minimo cambiamento. Questi sono i fatti e non gli inni rivoluzionari.
“Padania” descrive uno stato d’animo interiore: l’ansia da prestazione di chi insegue un sogno di realizzazione e potere inesistente, lottando con ogni mezzo per deviare il corso della sorte e riuscendo a vincere tutte le battaglie prefissate, pagando pegno, però, con la propria identità. Nascono così inquietudini metastatiche che allontanano dalle esigenze effettive, quelle dettate dalla sensibilità individuale.
Un concept album sulla tensione, emotiva e stilistica, quella che lega i brani e suggerisce una storia vera compiuta, nell’epoca del nozionismo da quiz preserale e dell’mp3 usa e getta. Un modo per togliere il monopolio iconografico del termine Padania a chi l’ha reso associabile a qualcosa di squallido, una specie di atto Futurista. Così come avveniristico è diventato il modo di vocalizzare di Manuel Agnelli, quasi totalmente inedito, secondo l’altro filo rosso intersecato tra i pezzi, ovvero il dialogo stabilito tra le altre voci e tra i suoni stessi: si avverte tutta la sperimentazione teatrale del tour passato e quella nell’America dei Flaming Lips, con passaggi quasi recitati, la voce che si fa strumento e il ritorno in pianta stabile di Xabier Iriondo reduce da svariatissime collaborazioni in ambito avanguardistico (tra cui A Short Apnea, Tasaday, Uncode Duello, Damo Suzuki, The Shipwreck Bag Show).
I testi recano il marchio d.o.c. Agnelli, capaci sempre di raccontare le due parti della medaglia, istintivi e strutturalmente solidi insieme, lucidi, provocatori, beffardi ma non per questo ripiegati nel cinismo fine a se stesso, carichi di forza che ti mette con le spalle al muro, quella di chi guarda la realtà onestamente in faccia e i suoi effetti sulle relazioni, non più solo sull’ego. In particolare la potentissima Metamorfosi, il gioco colloquiale in Terra di nessuno, le spiazzanti Ci sarà una bella luce e Io so chi sono fino ad arrivare alla lacerazione di Nostro anche se ci fa male e La terra promessa si scioglie di colpo. Ma nessuna descrizione vale più dell’ascolto di questo disco che prova a ricordarci cos’è il rock, l’inatteso, l’insicuro contrapposto all’estinzione della personale percezione come guida nell’esperienza, a favore di un orientamento immediatamente individuabile e prevedibile perché non più legato al gusto (quindi qualcosa che ha una variante istintiva anche insospettata), ma al proprio status. Che si sa, non deve mai ammettere di aver fallito, pena l’esclusione dalla dittatura.
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