Elettronoir E che non se ne parli più
[Uscita: 29/11/2014]
# Consigliato da Distorsioni
Al di là della recente querelle inaugurata dall’oracolo in disuso Umberto Eco sull’esistenza revocata in dubbio di un genere, letterario e non, chiamato noir; al di là quindi di questa inaggirabile questione ciò che andrebbe messo più esplicitamente a tema è la stramba pratica di denotare un genere letterario con un colore – noir appunto che in Italia fu giallo – o con alcune proprietà aptiche che si fanno immediatamente estetiche, come avviene per il sintagma hard boiled. Le proprietà delle cose diventano tonalità emotive degli esseri umani, è così che nel noir gli scenari metropolitani diventano paesaggi dello spirito; e dello spirito non dell’anima. Un paesaggio dello spirito è una veduta tra il collettivo e l’individuale, è una cerniera che divide; e questa divisione però è al tempo stesso un punto di contatto e una possibilità comunicativa. Le storie individuali e quelle collettive si articolano su un piano di sensatezza comune che sfrutta le differenze di velocità tra interno ed esterno, tra soggettivo e oggettivo, tra storia ed esperienza. C’è una sfasatura tra ciò che si vive e ciò che vive ma è una differenza che nel noir diviene raccontabile. La trilogia iniziata dagli Elettronoir nel 2005 con “Dal Fronte dei Colpevoli” e di cui “E che non se ne parli più” rappresenta il capitolo conclusivo, è esattamente il racconto di una storia privata che è espressione di una possibilità di vita collettiva: il tutto avviene sullo sfondo di Napoli tra il 9 dicembre 1977 e l’11 luglio 1982. Napoli, ragazzi di vita, politica e armi. Napoli come Marsiglia, la Marsiglia di J.-C. Izzo al quale la trilogia si richiama apertamente; eppure una Napoli che non è Marsiglia e che non può essere altro che se stessa, come una moneta fuori corso.
Allo stesso modo che nei capitoli precedenti, il disco articola questo dentro/fuori nella forma del concept album o del filmato sonoro di cui ogni canzone è una scena o un evento fondamentale. E come la pellicola scorre costantemente a 24 fotogrammi al secondo, così tutto il disco gira intorno a un mid-tempo che non lascia scampo e segna il passo dell’ascolto. Così come in Céline, l’autore che ispira il motto “e che non se ne parli più”, tutto il disco è un agglutinarsi di congiunzioni e riferimenti deittici a qualcosa che non può essere ascoltato; ogni nuova canzone è una “e…”, “e poi…” “e…e...e…e…e…”, e tutto avviene tra queste congiunzioni, tutto avviene nel passaggio tra un brano e l’altro, tutto avviene tra le cose e negli interstizi degli eventi. Bisogna estenuare l’ascolto degli Elettronoir per provare piacere. Occorre che il suono ruvido dei synth lenisca nel ricordo la sua carica urticante. Rispetto ai capitoli precedenti il suono di Elettronoir si è fatto più elegante, più complesso e meno scarno; esemplare in questo senso Rio, terzo capitolo sonoro del disco, nel quale la classica cadenza della linea vocale di Marco Pantosti si scioglie letteralmente nei Drones melodici portanti e infilza la voce e i sospiri di Giorgia Lee Colloridi. Il disco continua nel suo racconto con una impressionante costanza nella qualità compositiva e nell’intreccio narrativo, notevole in questo senso il lavoro fatto in Intervallo che si presenta come un brano psicogeografico nel quale si disegnano i tableaux dell’Italico vivere dal dopoguerra all’inizio degli anni ’80. Con chiaro strizzare d’occhio all’intervallo della Rai con il quale i paesaggi d’Italia entravano in casa degli Italiani che nel frattempo avevano imparato a non uscirne, il brano descrive in linguaggio new wave - P. Lion è dietro l’angolo - la contaminazione tra noi e una poverissima patria.
Tra uno stile Elettronoir inconfondibile, New wave e Alì Bumaye, che segna la continuità con i lavori precedenti della trilogia, sortite più introspettive, La zona e La nostra stanza, tutto sembra convergere verso un punto d’attrazione infinito. Tuttavia tendendo al grande epilogo si passa per Parigine, il primo video e singolo estratto: ha la potenza evocativa dei grandi ingressi rinascimentali e rappresenta forse la canzone più cantautoriale in senso stretto di tutto il lungo lavoro degli Elettronoir. La voce di Gorgia Lee è potente e supportata da un piano melodrammatico e loop sgranati a sincopare la melodia. Si arriva dunque a quello che ci sembra essere il cuore e il senso politico di tutto il laboratorio musicale Elettronoir: Esultiamo con Pertini ovverosia la sintesi dell’incontro di calcio tra Italia e Germania dell’11 luglio 1982 così come milioni di Italiani la ascoltarono dalla voce di Nando Martellini. Esultiamo con Pertini è un brano acido e vigoroso, uno strumentale per batteria elettronica e synth: mai marcia trionfale meno trionfante. E qui il racconto collettivo DIVIENE il vissuto privato chiudendosi in esso, qui avviene la saldatura tra vittoria e sconfitta. La sconfitta di una stagione raccontata per mezzo di una vittoria, in questo è la politicità estrema del lavoro degli Elettronoir. Che gli anni settanta si chiudano con l’’Italia trionfante ai campionati mondiali di calcio invece che con la marcia dei quarantamila dell’ottobre 1980 è scelta musicale e politica. L’augurio è che Elettronoir sopravviva a se stesso e alle infinite citazioni di cui questo colto lavoro è farcito (forse anche in maniera esagerata). Che non muoia sotto il suo stesso peso musicale e libresco è la nostra speranza.
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