Adriano Zanni DISAPPEARING
[Uscita: 20/11/2017]
#consigliatodadistorsioni
Provando a guardare al 2008, a quel “Piallassa (Red Desert chronicles)” uscito sotto lo pseudonimo Punck e sempre su Boring Machines, ci si rende conto che questo lungo iato, apparentemente silente fino al 2017, non è stato altro che continuum. L’artista ravennate Adriano Zanni, come abbiamo avuto già modo di accennare trattando dei suoi ultimi lavori, non è solo un ricercatore e tessitore di suoni ma è uno studioso sensoriale a tutto campo. Alla luce di questa considerazione si spiega anche l’abbandono dello pseudonimo a favore di un Adriano Zanni impegnato in un’osservazione sincretica del circostante. L’aggettivo sincretico non è usato casualmente ma bensì per sottolineare la rilettura delle cose in una prospettiva fortemente affine al suo sentire.
Quel filtro umbratile, quella messa a fuoco sempre calibrata sulle sfumature dei contorni, quella nebbiolina avvolgente che in qualche modo ci costringe a cogliere nuove prospettive, a guardare dentro al particolare trasversalmente. Tutto questo ci racconta del suo modus operandi e della necessità di non ridurre la sua creatività al solo supporto musicale uscito in una certa data. Fanno parte del suo lavoro incessante le performance live, i collage audiovisivi e soprattutto la narrazione fotografica. Nel 2014 infatti la stessa Boring Machines concede spazio editoriale al suo box fotografico, alle Cartoline da Ravenna, sempre sull’onda estetica del suo mentore Michelangelo Antonioni e del film “Deserto Rosso”.
Disappearing
Ma veniamo all’oggi di questo “Disappearing”. Sembrerebbe una scomparsa introspezione. Un viaggio interiore tormentato e inquieto che rielabora il coacervo di sensazioni esterne con idiomi solipsistici. L’oscurità di queste tracce ha in sé qualcosa di assolutamente poetico laddove una serie di droni simili a folate glaciali od opprimenti riverberi metallici e glitch si riconvertono e degradano in ipnotici mantra elettroacustici. In About the end, without beginning si avverte l’estenuante lotta tra ciò che ci è estraneo e ciò che ci è familiare. La repulsione, l’estraneità arrivano anche da un non riconoscimento puramente intimo. La sfida della conoscenza e della comprensione di sé. L’abbandono, la desolazione, il disfacimento sono paesaggi esterni e paesaggi interni originati dalla distonia, dalla mancata identificazione di più elementi che si disconoscono e rifiutano la conciliazione. In the distance parte con una serie di emissioni disturbanti, contorte e spigolose che come per incanto degradano e si infrangono fibrillando. Sembra volersi insistere sulla necessità di allentare e dissolvere i pixel di un’immagine strutturata per provare a cogliere la bellezza desolante del frammento. Il piccolo pezzo da cui ripartire per ricomporre liberamente e con l’ausilio della fantasia, del nostro tocco vivo e personale.
Si ritrova allora il senso lirico dell’albero secco che apre al cielo le sue braccia nodose, piene dei messaggi criptici lasciati dal tempo. Il relitto ferruginoso corroso dalle intemperie di “Falling Apart”. Mentre risuona incessante la domanda di senso su cosa resterà di noi e del passaggio terreno di tutte le cose, si avverte anche la necessità di superare lo stallo, di andare oltre. Come? Facendoci partecipi di un divenire che si nutre del tutto. Sbiadendo i rigidi contorni del reale per conferirgli l’impalpabilità e l’evanescenza di un sogno, Dreams and falling trees, sussurri lievissimi e cigolii di resistenza si incanalano in un flusso. Tutto è impregnato di un’essenza che testimonia il passaggio e che si rende vivida nel suo essere informe. Adriano Zanni (nella foto a destra) fa semplicemente cadere le nomenclature che ci fanno perdere. Il suo dis-perdere è invece declinato ad un con-templum inclusivo, una sparizione apparizione, un perdersi ritrovarsi.
Video →
Correlati →
Commenti →