IOSONOUNCANE DIE
[Uscita: 30/03/2015]
#consigliatodadistorsioni
Ne ha fatta di strada Jacopo Incani, vero nome del progetto solista IOSONOUNCANE. Sardo di nascita, ma trasferitosi per studiare e lavorare a Bologna, fece gridare al miracolo con “La Macarena Su Roma” (2010). Rimasto comunque nel semi-anonimato, senza fretta, si mise a lavorare al nuovo ipotetico disco dal 2011, passando quattro anni a suonare, campionare, registrare, mixare, arrangiare suoni e voci delle più disparate. La mini orchestra di fatto costituita venne a volte affiancata da un’ulteriore orchestra vera e propria, ma il minutaggio iniziale enorme di questo "DIE" fu piano piano ridotto, smussato con pazienza, fino a raggiungere i definitivi 38 minuti divisi in 6 tracce. La presenza delle liriche viene enormemente ridimensionata rispetto al primo disco: il concept album narra la storia e i pensieri di pochi secondi vissuti da due protagonisti, un uomo e una donna, l’uno in mezzo al mare in burrasca e timoroso di non riuscire a raggiungere la riva, l’altra sulla terra ferma ad osservare il primo, anch’essa in ansia per la vita dell’uomo. I testi si suddividono in due per ciascuno al centro e due corali posti ad inizio e fine opera. Diverse le parole chiave ripetute, oltre ai concetti di vita, morte, fame, sete. Il lirismo – nonché l’ermetismo - vanno comunque in secondo piano rispetto alla perfezione musicale, impossibile da catalogare.
Una fusion perfettamente riuscita tra prog-rock, canzone d’autore, drone music, techno, pop, elettronica lo-fi. Ciò che fece alla perfezione Lucio Battisti col suo monumentale “Anima Latina”, con le dovute proporzioni temporali e stilistiche, riesce oggi a questo Die. Raccoglie infine, come se non bastasse, l’eredità compositiva dei collage psichedelici di Dan Deacon e The Books. Al leader degli Animal Collective e agli stessi si può azzardare il riferimento stilistico più vicino, e come un Panda Bear nostrano, fa (quasi) tutto da solo: nel disco suonano circa 15 persone, improvvisando, eseguendo e rieseguendo a richiesta piccole porzioni sonore successivamente manipolate da Incani, che a sua volta suona chitarre di vario tipo e urla la sua voce spesso tendente al falsetto. Il canto a tenore sardo che inizia Tanca ci accompagnerà con rare eccezioni lungo tutta la durata dell’album: quaranta secondi dopo, assaporata ogni sorta di campionamento a far da sfondo – urla, rumori metallici -, la cupa atmosfera iniziale dal beat appena accennato diviene un vero e proprio sfoggio di techno-minimal, prima di placarsi solo momentaneamente a favore del cantato, che fa la sua apparizione nei tre minuti centrali della mini-suite. Si chiude con un crescendo di synth in contrasto con il lento sparire del beat. I suoni tra un capitolo e l’altro (in questo caso un cinguettio) formano un ponte che azzera le pause, donando una sorta di continuum all’ascoltatore. Stormi parte proprio dal cinguettio, per poi divenire da subito l’affresco più vicino al formato canzone, anche se di fatto vengono stravolti gli equilibri canonici: una strofa, due diversi ritornelli e un finale, in perenne crescendo.
Stormi ha la capacità di sconvolgere l’umore, sia al primo che al millesimo ascolto. In contrasto con la prima traccia, la maggioranza degli strumenti presenti è di natura acustica, su tutti i fiati (sax baritono, trombone e tromba) e i cori femminili. A conti fatti è l’unica traccia non-suite. Buio affiora dalle dissolvenze della precedente, in un preludio composto di baritoni sardi, echi di tromba, loop di chitarra classica. E’ la seconda mini-suite del concept-album, che evolve questo inizio tra prog-rock e neo-classical, dilatandolo armoniosamente, per poi cedere il passo alla seconda parte cantata, quasi una canzone pop d’autore (pur sempre condita di innumerevoli suoni, anche d’orchestra). La terza ed ultima parte di Buio, strumentale anch’essa, col suo trionfo di piatti, filicorno e canto baritono sardo ci conduce gradualmente alla ninna nanna Paesaggio, che in soli 2:17 riesce ad essere un'altra mini-suite. Conclude Mandria, con le sue strofe più ripetute dei ritornelli, anche stavolta divisa in 3 parti: un inizio cantato e condito di armonie fatte di loop di maracas, elettronica lo-fi, beat dance oscuro, synth, e i campionamenti sentiti all’inizio, in Tanca. Il cerchio si chiude, non prima di una seconda parte strumentale, che enfatizza il ritmo, la catarsi (chi può non esiti a vedere dal vivo IOSONOUNCANE), il distacco dalla realtà. La terza ed ultima parte riprende il canto e la melodia, prima di chiudersi sull’ultimo baritono sardo. Merita palcoscenici sempre più grandi Jacopo Incani, e DIE si candida tra i migliori dischi del 2015, ma anche per un posto tra i capolavori più eccentrici del panorama italiano tutto.
E’ un album eccezionale. Un capolavoro direi. La vostra recensione è ottima.