Depeche Mode DELTA MACHINE
[Uscita: 26/03/2013]
I Depeche Mode pubblicano il tredicesimo album della loro carriera, “Delta Machine” e segnano una nuova svolta nel loro modo di intendere la musica elettronica (o come molti la definiscono, Synth-Pop partendo da quelle che sono state le origini delle sonorità della band). La prima impressione è una evidente virata verso un blues di stampo elettronico e una altrettanto evidente riduzione degli strati sonori generati dalle macchine. Strati che ora sono ridotti all’osso in una sorta di minimal electro su cui si stagliano le voci di Dave Gahan (che regge la maggior parte del disco) alternata a quella di Martin Gore. Canzoni che, in generale, urlano un desiderio di aiuto, come nel caso di Slow che Gore scrisse ancora ai tempi di “Songs of faith and devotion”. Ed infatti, per certi versi, questo disco riprende le linee sonore di quel lavoro oltre che quelle di “Violator” e non è probabilmente un caso che al mixaggio ci sia quel Flood che lavorò con i DM proprio sui dischi appena citati. Alla produzione c’è ancora Ben Hillier già al timone dei due lavori precedenti, “Playing the angel” e “Sounds of the universe” entrambi francamente dimenticabili.
Certamente “Delta machine” risulta un lavoro migliore del precedente e la stesura strumentale è sempre di grande effetto come nel caso dell’iniziale Welcome to my world che parte con un beat molto cupo per lasciare il passo ad un refrain orchestrale, in cui Gahan si muove solitario fino ad un crescendo corale. My little universe è un concentrato di 8 bit music per neofiti mentre Secret to the end è un bell’esempio di electro, carica di drammaticità con un tratto ossessivo che scaturisce dall’intreccio vocale tra Gahan e Gore. Più lieve la The child inside cantata da Gore, e un passo di valzer decisamente suggestivo. Soft touch/raw nerve, aumenta i bpm candidandosi bene come prossimo singolo. Gahan ha più spazio del solito e sperimenta nuove tecniche vocali come risulta evidente in Should Be Higher: è chiaro che il cantante ha raggiunto un nuovo livello di consapevolezza, forte dell’esperienza dello scorso anno con i Soulsavers , il che lo ha portato a comporre le liriche di ben cinque delle canzoni presenti e a scrivere a quattro mani con Gore - per la prima volta nella loro carriera - Long Time Lie.
Buono anche il primo singolo Heaven, prototipo della loro ballad elettroniche e cupe. Soothe my soul, secondo singolo, preme un po’ sull’acceleratore e meno sul lato blues al contrario di Slow, un titolo, un programma con un soul blues molto spinto e Goodbye, un country blues del delta forse un po’ troppo di maniera. In aggiunta a ciò è uscita anche una versione deluxe con quattro brani (che poco aggiungono al lavoro in sé) in più ed un booklet fotografico curato dal fotografo/filmmaker olandese Anton Corbjin che collaborò con il gruppo anche per “Violator” e “Songs of faith and devotion” . In definitiva “Delta machine” è un disco che nel suo coraggioso tentativo di approfondire la conoscenza di nuovi territori (seppur già esplorati in passato) con atmosfere più dark dell’ultima opera, meno ballabile e ruffiano, più blues che parte lento e cresce come ritmo a metà del disco, arriva alla sufficienza ma risulta convincente solo in parte. Qua e là si sentono delle cose interessanti e le trame sonore risultano spesso di ottima fattura, forse più per la grande esperienza dei musicisti piuttosto che per una vera ispirazione, e questo porta ad una scarsa capacità di emozionarci anche dopo diversi ascolti. Ormai come i Rolling Stones o gli U2, i DM sono arrivati in quell’Olimpo dove qualsiasi cosa pubblicheranno venderà comunque moltissimo e riempiranno gli stadi con spettatori che lasceranno scorrere i brani più nuovi in attesa di quelli più noti e allora la domanda mi sorge spontanea: nel 2013 c’era ancora bisogno di un disco dei Depeche Mode?
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