Steve Hackett AT THE EDGE OF LIGHT
[Uscita: 25/01/2019]
Inghilterra
Non serve prolungarsi in tediose prefazioni quando la proposta da recensire è opera di un'icona del rock come Steve Hackett. Legato indissolubilmente ai capolavori Genesis degli anni settanta, il chitarrista londinese possiede uno sconfinato quanto prestigioso retroterra fatto di collaborazioni, concerti in giro per il mondo e soprattutto album di studio (ben ventisei dall'esordio solistico del 1975 “Voyage of the Acolyte”) che attraversano mezzo secolo di storia della musica. Una perpetua evoluzione artistica che pur tenendo fede a distinguibili stilemi originari ha finito nel suo incedere per contaminarsi con aree sonore di diversa estrazione. E' così che in quest'ultimo decennio, oltre ad eternare eccelse rivisitazioni live dell'intramontabile repertorio concepito con Gabriel e soci, Hackett si è dilettato nel dare alle stampe album di ottima fattura come “Out of the Tunnel's Mouth” (2009) e “Wolflight” (2015) ricchi di evidenti richiami alla world-music. In virtù della eccelsa schiera di collaboratori internazionali che vi prendono parte anche il nuovo “At the Edge of Light” non si sottrae a questa persuasiva inclinazione etno-prog ed appare come il naturale proseguo delle ultime fatiche; Hackett raccoglie in un simbolica stretta architetture multi-culturali celebrando la meraviglia dell'unità in un mondo diviso e sempre più solcato da minacciose ombre.
Una tracklist quindi piuttosto sfaccettata dove le leggendarie evoluzioni della Gibson occupano saldamente il centro del proscenio ed intorno alle quali si alternano i talentuosi ospiti di turno. Le coriste floydiane Durga e Loreley McBroom colorano così le trame country-blues di Underground Railroad mentre il sitar di Sheena Mukherjee incensa gli arabeggianti scenari di Shadow And Flame. E se il poliedrico batterista, ex Toto, Simon Phillips scandisce la ballad Hungry Years, le linee di basso del vichingo Jonas Reingold (The Flowers King) delineano gli orditi in perfetto Yes-style di Under the Eyes of the Sun. La mini-suite Those Golden Wings (undici minuti di raffinate incursioni sinfonico-orchestrali) ed il singolo apripista Beasts in our Time (con la magistrale partecipazione del sassofonista Rob Townsend e di Nick D'Virgilio dei Big Big Train) sembrano possedere una marcia in più rispetto a tutte le altre, seppur convincenti, composizioni di un album decisamente attuale e ben ispirato. A dispetto dei suoi sessantanove anni Hackett dimostra di avere ancora molto da dire in termini di creatività (tecnicamente il problema non si pone) e soprattutto di possedere energia e passione per farlo al meglio. Non la solita minestrina riscaldata ma l'ennesima metamorfosi che, sorpassando gli ingombranti raffronti con la nostalgia dei tempi passati, mira oltre, laggiù dove solo in pochi eletti possono ambire. E Steve è uno di questi.
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