Thee Oh Sees AN ODD ENTRANCES
[Uscita: 18/11/2016]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Da un paio di dischi a questa parte Thee Oh Sees sembrano essere tornati speditamente sui binari di “Carrion Crawler/The Dream EP” e si sono rifugiati in un castello kraut-punk che fa esultare i loro fan più incalliti. Arrivata al diciottesimo album in studio (a nome OCS, The Oh Sees e Thee Oh Sees), la riformata band di John Dwyer (nella foto sotto a destra) non accenna a diminuire il ritmo e da agosto a novembre fa uscire tre album (due LP e un “Live In San Francisco” registrato al The Venue sempre per Castle Face Records) ma fa pensare a questo “An Odd Entrances” come un mero ripescaggio di nastri del fortunato “A Weird Exit” o come un appassionato esercizio di stile. La formazione californiana scava una sorta di oasi contemplativa in queste sei tracce, dove lo spazio e il tempo sono sospesi in un limbo creepy e lisergico, in un’atmosfera irreale, glaciale dalla quale ogni urlo mangia-microfono o tirata rave-up di Dwyer sono esclusi. La band asseconda rigidamente la struttura ipnotica e d’improvvisazione dei pezzi. I silenzi e i vuoti di An Odd Entrances rendono un’opera minore un pregevole esempio di alienazione lisergica.
Questo nuovo lavoro ha ben poco da aggiungere a quanto ribadito dal suo predecessore: il suo obiettivo è quello di ipnotizzare, come suggerito dal titolo. Così, i 30 minuti scorrono piacevoli tra sospensioni scintillanti (You Will Find It Here), lirismi ipnotici e fumosi (The Poem), refusi kraut-prog (Jammed Exit, in cui compare un eterno amore di Dwyer, il flauto dolce), rigurgiti garage-pop di un’era ormai remota (At The End, On The Stairs), incursioni-riff chitarristici e mani finalmente sporche di fuzz e noise-rock (Unwrap The Fiend pt.1, Nervous Tech). Delle sei canzoni solo sue sono cantate: il resto sono essenzialmente jam di cui, se mai ci verranno a chiedere il conto dell’opus dwyeriana, potremo benissimo dimenticarci. Eppure si ha a che fare con una band ispirata, che vuole condurre l’ascoltatore nei meandri di una psichedelia melmosa e cartoonesca, nell’abisso di un immaginario sci-fi che i fan conoscono bene. Il numero e il minutaggio dei pezzi stessi dimostrano più somiglianze (con le dovute precauzioni, s’intende) con Grateful Dead, Can, Soft Machine e Hawkwind piuttosto che con le tracklist intasate e scarabocchiate di un Nuggets qualsiasi. L’operazione è totalmente gratuita, arbitraria e disimpegnata: lasciarsi trasportare non costa nulla e a volte (come in questo caso) è anche divertente.
Video →
Correlati →
Commenti →