Hendrix 70 – Live at Woodstock Michael Wadleigh
Buon Compleanno Jimi. A festeggiarlo migliaia di spettatori nei cinema di tutt’Italia nel giorno del suo settantesimo compleanno. Solo il 27 novembre, infatti, è andato in programmazione nelle sale italiane “Hendrix 70 – Live at Woodstock” un documentario diretto da Michael Wadleigh e realizzato con i filmati originali in 16mm concessi grazie al supporto della Experience Hendrix LLC società che tutela il patrimonio artistico del chitarrista. La novità eclatante è che il film riporta l'intera esibizione di Hendrix a Woodstock. Più che di recensione, si potrebbe parlare di live report: infatti dopo la prima mezz’ora di interviste a Michael Lang, ideatore del festival di Woodstock, ai componenti della band Gypsy Sun and Rainbow messa su appositamente per quell’evento e subito dopo sciolta per le pressioni del management discografico, inizia la Jimi Hendrix Experience. La cura dell’audio in dolby surround 5.1 e del materiale video restaurato ha offerto un’esperienza sonora/visiva di puro godimento. La parte iniziale del film, affidata alle voci dei protagonisti di quell’evento che raccontano i preparativi del concerto, alimenta l’atmosfera quasi surreale di quella mattina del 19 agosto 1969.
Capita a tutti gli amanti del rock di provare invidia per i pochi, 40.000 a fronte dei 400.000 della sera precedente, rimasti fino al terzo giorno di festival per godersi l’apparizione sullo stage di Hendrix: il mito nel mito. Una bottiglia di vino scolata dai “Gypsies” per darsi la carica e lo show ha inizio. Jimi fa le presentazioni, tiene il palco con la confidenza e la maturità di un’artista dalla carriera decennale. Poi inizia a suonare e la cinepresa è incollata al suo primo piano, va avanti con inquadrature strette per cercare di entrare in contatto o avvicinarsi il più possibile all’energia che viene sprigionata su quel palco. Il concerto si apre con Message to Love, un chiaro manifesto di tutto l’evento Woodstock. Si continua con gli assoli e la spinta rock degli altri due pezzi Here my train a coming e Spanish Castle Magic per arrivare al blues di Red House in cui Hendrix non sembra preoccuparsi della rottura della prima corda della chitarra. It’s only rock and roll verrebbe da dire. Una tensione sessuale sembra legare Hendrix al suo strumento e la macchina da presa lo mette in evidenza spesso mostrando le sue smorfie che seguono l’utilizzo del tremolo, i vari bending, il wah del pedale. Di tanto in tanto la band capisce che deve lasciarlo andare perché Jimi con la chitarra entra in un mondo a sé e diventa quasi impossibile il tentativo di seguirlo.
La carica sexy di Hendrix continua con Foxy Lady che dedica personalmente a “quella ragazzina lì in mezzo al pubblico con le mutandine gialle”. Altro pezzo che infiamma gli spettatori di Woodstock e quelli della sala cinematografica è Fire che precede Vodoo Child. Sembra superfluo commentare pezzi ormai entrati da mezzo secolo nella cultura visiva e musicale collettiva ma vederli e soprattutto ascoltarli in maniera così definita emoziona ancora oggi nonostante l’abitudine. Poi ad un certo punto arriva l’inno americano, The Star-Spangled Banner, un pezzo suonato live che ha lasciato a bocca aperta tutti i presenti e su cui si sono versate tonnellate d’inchiostro di critici musicali e storici che hanno interpretato il “noise”, durante l’assolo, come un richiamo ai rumori dei bombardamenti rappresentando così una risposta generazionale all’imperialismo americano e alla guerra in Vietnam. Hendrix ha sempre negato questa interpretazione rispondendo ai giornalisti: “All I did was play it. I'm American so I played it”. Questo è anche l’intento del film in fondo; lasciare il racconto di quel concerto alle note dei sei musicisti sul palco. La sacralità di quel 19 agosto attraversa lo spazio della sala cinematografica. A tal proposito suonano bene le parole di Matthew protagonista nel film The Dreamers di Bertolucci: "Io non credo in Dio, ma se ci credessi sarebbe un chitarrista nero e mancino."
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