“Ice Scream” all’americana Intervista a Vito Palumbo e Roberto De Feo
Come i giovani registi di un cortometraggio realizzano il sogno Hollywoodiano
Da quando il supporto digitale ha reso più semplice la realizzazione di un cortometraggio in Italia come nel resto del mondo sono proliferate brevi produzioni filmiche girate da migliaia di appassionati della settima arte. E ogni giovane filmmaker consapevole del valore della propria opera ha un sogno, un’ambizione: essere riconosciuto e apprezzato da qualcuno che conta e che possa offrirgli un’opportunità. Magari vincere un premio ad un festival importante e chissà, arrivare addirittura ad Hollywood a girare una pellicola. Utopie? Uno di questi sogni si è realizzato e nello specifico è la prima volta che succede in Italia: da un corto horror di 22 minuti - ambientato a sud della nostra penisola – è stato appena girato un film nella mecca del cinema. La produzione del lungometraggio è curata da Christian Halsey Solomon, uno dei produttori che hanno portato sul grande schermo il romanzo cult di Bret Easton Ellis, “American Psycho”. Siamo molto curiosi di tanti particolari. Chiediamo direttamente ai fortunati registi (e co-autori) come questo è stato possibile e cosa significhi vivere un’esperienza di questo tipo.
Intervista agli autori Vito Palumbo e Roberto De Feo
Distorsioni (Dario Magnolo) - Vito Palumbo e Roberto De Feo, avete alloggiato a Los Angeles ospiti di una casa di produzione cinematografica fin dalla pre-produzione di Ice Scream, il lungometraggio la cui sceneggiatura è stata adattata da voi stessi a partire dall’omonimo cortometraggio vincitore di vari festival internazionali, distribuito negli USA e altrove. Avete conosciuto personalmente il vostro produttore - Solomon - direttamente negli States. E’ tutto vero quel che affermo?
Vito Palumbo - Roberto De Feo - Sì, è tutto vero! Se ce l’avessero detto qualche anno fa ci saremmo messi a ridere. Abbiamo sempre cercato di lavorare ed affermarci in Italia ed eravamo convinti di fare il nostro esordio sul grande schermo nel nostro paese e invece la nostra opera prima avrà paternità a stelle e strisce. Christian Solomon è una persona straordinaria, una persona dotata di enorme umanità, ci ha aperto la sua casa dal primo giorno e ci ha fatto sentire parte della sua famiglia.
Vi siete domandati per quale motivo un produttore esperto non ha avuto dubbi ad affidare la regia a due esordienti?
Abbiamo sempre sentito massima stima da parte sua e una fiducia cieca nel nostro lavoro. Ricordo un giorno, eravamo tutti insieme a fare un meeting di lavoro in piscina (perché lì si lavora anche mentre ci si diverte) e guardando negli occhi me e Roberto ci disse: "Io non ho nessuna paura della vostra inesperienza... ho visto il vostro cortometraggio e così come avete fatto quello sarete in grado di fare anche questo". Detto questo, meglio non farlo arrabbiare, è alto quasi due metri
E voi non avete avuto dubbi o timori? Vi siete domandati se sareste stati all’altezza?
Ce lo siamo chiesti decine di volte soprattutto alla luce della nostra non perfetta conoscenza della lingua inglese ma questo allo stesso tempo ci ha investito di un’ enorme responsabilità. Sapevamo di non poter fallire, di non aver tempo per farci troppe domande e di tuffarci in quello che sapevamo fare meglio: lavorare senza sosta. Non abbiamo avuto tempo per dubbi o timori. Poi ricordo un giorno, durante un’intervista a Los Angeles, che Christian Solomon disse: “La fortuna è stata mia di conoscere questi ragazzi”. Non nascondo che quelle parole dopo tanto lavoro e tanta gavetta un pò ci emozionarono.
L’offerta di realizzare un film è arrivata tramite una semplice mail. Cosa diceva precisamente? Avevate avuto altre proposte in precedenza?
Questa cosa non è esatta. La storia parte da quando "Ice Scream" venne selezionato al Beverly Hills Film Festival. Decidemmo di fare la follia di partire insieme alla volta di Hollywood. Durante la serata di premiazione facemmo la conoscenza di Alexia Melocchi, manager italoamericana che decise di prenderci sotto la sua ala protettrice. In precedenza avemmo alcune proposte che per un motivo o per l'altro non andarono in porto. Un giorno, di comune accordo, decidemmo di provare a immaginare un remake del nostro corto per il grande schermo e cominciammo l’avventura insieme allo sceneggiatore canadese David Castaldo, subentrato tramite Alexia. Con lo script in mano lei e la sua casa di produzione (la Little Studio Films) cominciarono a bussare alle porte dei produttori fino ad arrivare al nostro Christian Solomon che da subito vide in questo corto un segno del destino, un prolungamento della sua avventura cominciata con American Psycho.
Quale è stata la vostra reazione? Avreste accettato anche se vi avessero chiesto di rinunciare alla regia e firmare solo la sceneggiatura?
Il giorno che Alexia ci disse di aver trovato un produttore che aveva seriamente intenzione di produrre il nostro film ci guardammo negli occhi increduli: ancora oggi non ci siamo resi pienamente conto di quanto ci sia accaduto. Non avremmo mai accettato se ci avessero chiesto di rinunciare alla regia perché certi progetti nascono con te, nascono dentro di te e senti intimamente che nessuno potrebbe affrontarli meglio di te stesso.
Quanto tempo avete impiegato a scrivere la sceneggiatura? Che difficoltà avete incontrato a dilatare una storia di venti minuti in un film in tre atti da circa mezz’ora l’uno?
Ci abbiamo messo più o meno un anno e le stesure sono state diverse. E’ difficile scrivere il remake di un corto perché la domanda che ti poni continuamente è: “Ma se funziona in venti minuti perché farlo durare un’ora e mezza?”. Abbiamo cercato di non diluire la storia del corto, di dare una nuova struttura ad un corto che funzionava alla grande lasciando inalterata l’anima, il cuore originario. Abbiamo lavorato alla forma definitiva fino al giorno prima di cominciare lo shooting.
Siete stati messi subito a vostro agio. Cosa vi ha dato maggiore preoccupazione per questa nuova esperienza professionale?
Siamo stati messi perfettamente a nostro agio. Siamo arrivati a Los Angeles e ci hanno fatto sentire delle star. Ci hanno dato uno splendido loft nel cuore di Los Angeles e un auto per poterci muovere liberamente e non sentirci turisti occasionali. Forse quel che ci preoccupava di più era di dover girare il film in brevissimo tempo…tu sai cosa vuol dire. In Italia può sembrare un’assurdità chiudere le riprese in due o tre settimane, negli USA per i film a low budget questa è la prassi.
Quali sono le differenze principali che avete avuto modo di riscontrare tra il sistema italiano e quello americano?
La differenza principale forse è proprio la fiducia che senti intorno a te. In Italia quando non sei nessuno vieni sempre visto un po’ come il fortunato della situazione. Lì l’inesperienza è considerata un valore e grandi professionisti da subito si sono messi a nostra completa disposizione. Tutti cercano di avere l’obiettivo comune di fare un grande film e il viaggio è sempre un proseguire affiancati verso il risultato finale. Quando si parla di sogno americano si parla proprio di questo. Ognuno ha la possibilità di esprimersi se davvero ha qualcosa da dire. Ovvio che poi di base la fortuna conta sempre... trovarsi nel posto giusto al momento giusto è realtà ma il difficile è esserci nei posti giusti. Spesso è forte la tentazione di mollare prima.
Cosa avete fatto precisamente i primi giorni? Avete curato subito i casting e individuato le locations?
Esatto. Avevamo idee molto chiare e non ci hanno mai imposto nulla. L’unico limite era il budget. Ora il film è in post-produzione, uscirà entro l’anno.
Chi sono gli attori protagonisti? Come vi siete trovati con loro?
Sono per lo più giovani talenti più due grandi attori quali Laura Harring, star di “Mulholland Drive”, e Wide Williams (conosciuto per il ruolo del cattivo in “Prison Break”). Gli attori affrontano il lavoro con grande professionalità e consapevolezza dei propri mezzi. Hanno competenza circa cosa voglia dire prendere la luce, essere inquadrati in primo piano o in figura intera. Abbiamo da subito stabilito con loro un rapporto di grande fiducia reciproca.
Come è andato lo spoglio della sceneggiatura? E’ stato subito realizzato uno storyboard? E con gli attori avete avuto occasione di fare delle prove?
Lo spoglio della sceneggiatura è una delle fasi più importanti e meticolose negli States e coinvolge tutti i reparti. Forse questo è stato uno degli aspetti che ci ha un pò spiazzati del lavoro hollywoodiano. Non si lascia spazio all’improvvisazione, tutto dev’essere deciso prima e rispettato pedissequamente. Abbiamo realizzato degli storyboard con un bravissimo professionista ed effettuato le prove con gli attori (lì questa fase viene chiamata Rehearsal) all’interno del nostro splendido loft districandoci nel nostro inglese maccheronico.
Escluse alcune celebri coppie di fratelli dietro la macchina da presa non è molto comune la co-regia. Come vi trovate tra di voi, fate tutto insieme o vi dividete i compiti? Come vi comportate davanti ad una scelta per cui siete totalmente in disaccordo?
Vito Palumbo - Io e Roberto siamo alla nostra terza co-regia e ormai siamo una coppia collaudata. Noi partiamo dalle nostre evidenti diversità: io amo il cinema classico, metto al primo posto i contenuti, la profondità mentre Roberto ama il cinema americano (Tarantino è il suo mito) e quindi la spettacolarizzazione della narrazione. Un cocktail perfetto. Le diversità di vedute sono frequenti e anche le discussioni ma dai conflitti nascono le cose più importanti. Alla fine troviamo sempre una mediazione che faccia il bene del lavoro che stiamo portando avanti e comunque tutte le discussioni le teniamo per la fase di ideazione della regia. Sul set siamo due macchine da guerra e abbiamo grande complicità. La divisione dei compiti è fondamentale per non confondere mai chi deve rapportarsi non ad uno ma a due registi.
In generale, per prendere decisioni, avete avuto qualche paletto o imposizione? C’era per voi una particolare ambizione a realizzare un horror che si distinguesse dagli altri o essenzialmente, in questo momento magico, avete pensato a girare un buon prodotto senza sbavature?
Inizialmente per noi contava solo la voglia di riuscire a portare sul grande schermo un prodotto che in forma breve aveva funzionato worldwide. Strada facendo alla prima motivazione si è aggiunta anche la seconda e abbiamo cercato di rispettare tempi e budget della produzione. Gli unici paletti sono stati quelli di portare avanti una storia che fosse sempre credibile in ogni suo aspetto in modo da evitare i cosiddetti ‘buchi di sceneggiatura’, ma imposizioni non ce ne sono mai state. Abbiamo avuto massima libertà su tutto e una marea di consigli che abbiamo sempre tenuto in grande considerazione dovendoci rapportare per la prima volta con una cultura e una realtà lontana da quella del vecchio continente.
Immagino sia inevitabile pensare anche un po’ al futuro. Considerando inoltre la difficile e delicata situazione italiana, quando vi sfiora l’idea di rimanere in USA a lavorare al prossimo progetto cosa vi dite uno all’altro?
Stiamo già lavorando al prossimo progetto che si chiamerà Child K, un cortometraggio targato Colorado Film che ancor prima di vedere la luce ha già dalla sua una distribuzione internazionale. E’ un progetto in cui crediamo tantissimo. Si sviluppa attraverso una microstoria che poi sfocia in una macrostoria. Possiamo dirti solo questo. Riguardo il restare negli USA... si vedrà. Non ci dispiacerebbe l’idea di continuare la nostra avventura americana ma per ora siamo concentrati sull’uscita di Ice Scream e incrociamo le dita.
E’ doveroso ricordare che il protagonista del cortometraggio Ice Scream, Damiano Russo, ha perso la vita in un incidente il 21 ottobre 2011. Una toccante disgrazia che si è portata via un giovane talento e con lui i suoi sogni e le sue ambizioni. Voi, al contrario, state vivendo un’esperienza fuori dall’ordinario che è quello che si presume abbiate sempre desiderato. C’è qualcosa che volete dichiarare a riguardo?
La scomparsa di Damiano ci ha segnato profondamente in tutto quello che riguarda le nostre vite perché abbiamo perso soprattutto un compagno di sogni con cui avevamo diviso tante stupende emozioni ed esperienze. Damiano ci ha accompagnato in tutta la nostra avventura americana... soprattutto riguardo la scelta del protagonista. Ogni volta che entrava nell’ufficio casting un candidato attore sia io che Roberto cercavamo nei suoi occhi la stessa luce presente in quelli di Damiano. Alla fine abbiamo scelto Spencer Treat Clark, un grandissimo attore, un serio professionista nonostante la giovane età.
Per concludere, c’è qualcosa che potete anticiparci sul film? Ad esempio la più grande o sostanziale differenza tra il corto e il lungo?
Non possiamo e non vogliamo svelare molto. La cosa più importante è che questo film ha una propria anima che prescinde dall’esistenza del cortometraggio. Speriamo che possa essere concluso nel migliore dei modi e che il grande pubblico possa apprezzarlo e dirlo in giro visto che per la buona riuscita di un film low budget e senza grandi nomi, conta soprattutto il passaparola.
Un’ultima cosa: che consigli e avvertenze potete dare ai giovani filmmakers che hanno letto della vostra vicenda?
Credeteci, non mollate mai nonostante un enorme vuoto pneumatico attorno al quale la cultura è vissuta come un surplus, come qualcosa di cui si possa fare anche a meno in situazione di crisi. Non smettiamo mai di studiare, di avere fame di migliorarci e puntare sulle idee. Le buone idee possono venire a chiunque e il cinema ha bisogno di nuovi spunti in un panorama fatto solo di remake, sequel, prequel; in questo lavoro puoi contare solo su te stesso.
Grazie Vito e Roberto per il vostro interessante racconto e per la preziosa testimonianza. Ci auguriamo di cuore una totale riuscita del film e confidiamo in altre soddisfazioni per voi e per i vostri progetti. Congratulazioni e in bocca al lupo, che possiate essere d’esempio e d’auspicio per altri meritevoli e ambiziosi cineasti come voi.
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