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2 Agosto 2015 , ,

Half Japanese Volume One-Two-Three

2015 - Fire Records

FIRELP342 Half Japanese - Volume 1 1981-1985 OUTER SLEEVEVolume One: 1981-1985 (Fire R., 19 Aprile 2014)

Volume Two: 1987-1989 (Fire R., 26 Gennaio 2015

Volume Three: 1990-1995 (Fire R., 9 Marzo 2015)

 

 

L’imperativo era suonare senza saperlo fare. Senza doverlo neppure dissimulare. Queste erano le regole dettate da Jad Fair all’inizio dell’avventura degli Half Japanese. Poi, avrebbero imparato a farlo, seppure in maniera del tutto atipica, adattando la “tecnica” a quello che le loro canzoni richiedevano e non viceversa. Ma all’inizio la strategia era una esaltazione dell’ignoranza musicale elevata all’ennesima potenza. Neppure le prime lezioni su come accordare gli strumenti o sulle corrette diteggiature erano state seguite, neppure distrattamente. Neppure malvolentieri. Nulla. Volevano entrare nella storia della musica in questo modo, gli Half Japanese. Invece ci entrarono in maniera ancora più trasversale di quanto potessero mai immaginare. Perché quando Kurt Cobain fu trovato finalmente felice e in compagnia di Boddah quell’8 Aprile del 1994, aveva indosso una T-shirt degli Half Japanese. Proprio così. Non degli AC/DC o dei Ramones. Non dei Sex Pistols e neppure dei Kiss. Una banale, fottutissima magliettina a maniche corte degli Half Japanese.

 

half2Venti anni più tardi, quando affiorerà dagli archivi la lista compilata a mano dallo stesso Kurt con i 50 album preferiti della sua band, appena sotto il secondo disco dei Beatles ma un bel po’ prima rispetto a Bowie e alla trilogia storica dei Wipers, c’è "We Are They Who Ache With Amorous Love" del Mezzo Giapponese. I dischi degli Half Japanese continueranno a vendere pochissimo. Ma lo sharing dei loro dischi, all’epoca di Napster, diventa virale. Alimentando un pubblico invisibile, proprio come loro. Un pubblico di adolescenti che non vogliono crescere. Come Peter Pan. Come Jad Fair. Come Kurt Cobain. Ristampato in edizione deluxe il primo disco, la Fire ci ha preso gusto a rimestare nel catalogo della band americana e ha così pensato bene di half-japanese-promo-650assemblare, con cadenza variabile, dei cofanetti che racchiudono tutta la produzione successiva, a triplette “temporali” progressive. Canzonette da ludoteca dove i figli di Don Van Vliet, Mark E. Smith, Ari Up e Poly Styrene sono costretti ad un gioco pedagogico perverso che li vede impegnati a mettere in musica le loro smorfie, avendo però la libertà di espletare ogni bisogno fisiologico che si presenti durante le ore necessarie a svolgere la consegna. Musicalmente Jad e il fratello David non hanno però le radici ficcate nel punk. Non solo, perlomeno.

 

Hanno cominciato coi Beach Boys. Poi era iniziata la febbre per Chuck Berry e Buddy Holly. Quindi per le band di Detroit, Bob Marley, i Cramps e Tav Falco, Cohen, Cash, half3James Brown, Patti Smith, i Talking Heads, Van Morrison e, soprattutto, per la musica caraibica di Lord Invader. Mangiano e cacano di tutto, tirando fuori canzoni disarticolate, pazzoidi, epilettiche, disgustose e moleste e adoperandosi in rivisitazioni di classici come La Bamba, Louie Louie, You’re Gonna Miss Me o European Son di cui si sarebbero vergognati persino Tiny Tim e le Shaggs. Un grumo di nodi e flatulenze in cui convergono le convulsioni degli Wire, i cefali deformi di "Trout Mask Replica", le movenze Half-Japanesesghembe della no-wave, le commedie pop di Jonathan Richman. Il circo Barnum della musica americana insomma. Dove ogni mostro ha un suo carisma da presentare al pubblico distratto che ha pagato per sentirsi bello fra quello spettacolo immondo e ora ride soddisfatto. Le donne ogni tanto si guardano allo specchio. Gli uomini si specchiano nei loro occhi. Poi applaudono. E vanno via, ebbri di futilità e di raccapriccio.     

Franco Lys Dimauro

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