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25 Ottobre 2012

Rainbow Bridge James And The Devil, a tribute to Jimi Hendrix

2012 - Tarock Records

rainbow bridgeSolitamente rimango perplesso davanti agli album tributo, i quali il più delle volte ripropongono in maniera mediocre e poco sentita brani di questo o quell'artista a cui siamo affezionati. Non è la prima volta però quest'anno che non posso confermare la regola avendo tra le mani una buona eccezione. Sia chiaro, raggiungere le vette Hendrix-iane è impresa da ritenersi ragionevolmente impossibile e questo i Rainbow Bridge devono averlo ponderato bene prima di imbarcarsi in questo progetto nel quale alcuni classici del genio di Seattle vengono rivisitati. "James And The Devil" è un album forte dell'umiltà che necessariamente si deve avere quando si affrontano certe montagne, ma che gode anche di una maturità stilistica in grado di rivedere da diverse prospettive quella materia lavica di cui la musica di Jimi Hendrix è composta. La strada scelta non è fortunatamente quella di fare sfoggio di prove pirotecniche.

 

Piuttosto, i tre musicisti intraprendono tanto le assolate strade desertiche segnate nelle mappe da gente come Giant Sand e Calexico, quanto percorsi che indichino segni inequivocabili che patti tra il diavolo e pionieri del blues come Robert Johnson e Skip James devono essersi stretti, laggiù nelle paludose terre del sud degli Stati Uniti. Inevitabile riscontrare anche alcune influenze riconducibili a Steve Ray Vaughan, figlio tra i più prolifici della rivoluzione chitarristica operata da Hendrix. Davvero apprezzabile, inoltre, la scelta di suonare il contrabbasso con l'archetto in quelli che risultano in definitiva  i brani più accattivanti di tutto l'album, ovvero Foxy Lady, Manic Depression e Spanish Castle Magic. Quest'ultimo, poi, nella seconda parte compie una mirabile virata verso i territori Zeppelin-iani di Kashmir, una manovra altrimenti azzardata se non fosse compiuta con esperienza e cautela. Convincenti anche Purple Haze e Voodoo Chile, canzoni suonate in sequenza e poste in chiusura di quella che può ritenersi come una scommessa vinta dai Rainbow Bridge, un disco probabilmente poco adatto a chi del rock ha fatto un'ortodossia religiosa con tanto di icone intoccabili, ma che incontrerà il favore di coloro che nella musica ricercano la personalità ed il gusto piuttosto che l'originalità ad ogni costo.

 

 

Aldo De Sanctis
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