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12 Luglio 2013 ,

Demetra Sine Die A QUIET LAND OF FEAR

Uscita: 13 Novembre 2012 - BloodRock Records

demetra sine dieContinua imperterrita la missione della BloodRock Records alla scoperta delle migliori realtà heavy dark italiane. Stavolta l’etichetta genovese gioca in casa e dà alle stampe “A Quiet Land of Fear”, secondo disco sulla lunga distanza dei Demetra Sine Die. Nati nel 2003 per volontà di Marco Paddeu (chitarra, voce) e Marcello Fattore (batteria), i quattro – a completare la formazione Adriano Magliocco (basso) e Matteo Orlandi (synths) – hanno debuttato nel 2008 con “Council from Kaos” (My Kingdom Music) e perfezionano in quest’ultima uscita il loro universo oscuro, evocativo ed esoterico, influenzato da Tool, Anathema, Katatonia e Paradise Lost (per gli ultimi tre riferimenti, prendere come esemplificativo il periodo post 1997, non quello precedente). Il lavoro è ispirato a “Songs of Innocence and Experience”, raccolta di poesie del visionario Sir William Blake. Un inno al potere dell’immaginazione, che i Demetra Sine Die fanno loro proponendo un rock immaginifico, a tratti distante ed altero, certamente affascinante. Il disco parte in maniera ardua e complessa con due brani lunghi e articolati come Red Sky of Sorrow e Black Swan, stratificate elaborazioni di fredda psichedelia che mettono alla prova l’ascoltatore con chitarre liquide, riff improvvisi, effetti stranianti, ritmiche spezzate e vocals profonde. Tocca arrivare alla title track per avere sette minuti intensi e fluttuanti nell’oscurità, caratterizzati tuttavia da un chorus che si ficca dritto nel cervello e da una coda lisergica dannatamente avvolgente. La tromba di Roby ‘Nappi’ Calcagno su 0 Kilometers to Nothing dona un tocco algido ad un’avventura sonora quanto mai atmosferica e disturbante, un viaggio cerebrale che passa attraverso la pausa semi dronica di Ancestral Silence per giungere a Silent Sun, song soffusa e quasi lontana nella sua stasi, prima d’esplodere in un sorprendente riff conclusivo. Distances poggia ancora una volta sulla tromba di Nappi e sulla chitarra fragorosa di Marco e nel suo incedere rituale e spacetronico si rivela la migliore canzone dell’album, nonché elaborazione manifesto dello stile mai banale del gruppo. Inanis è un altro passaggio di frontiera che prepara al gran finale di That Day I Will Disappear Into the Sun: riff spaccaossa e alternanza di elementi prog, wave, psych, metal e doom, estrema sintesi di una galassia sensuale ed elegante. Con un ulteriore passo in avanti in termini di songwriting, i Demetra Sine Die potranno arrivare ad un terzo disco di forma e concezione definitivamente personale. Li attendiamo al varco con discreta ansia. Perché in fondo «l’immaginazione non è uno stato mentale: è l’esistenza umana stessa».

 

Alessandro Zoppo

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