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23 Luglio 2015

Zanne Festival: Terza Edizione Zanne Festival: Franz Ferdinand/Sparks, Spiritualized, Godspeed You! Black Emperor... 16-19 Luglio 2015 , Catania, Parco Gioeni


  zanne adv         I N T R O:  annotazioni

 

La dimostrazione che si possa, dispiegando competenza, umiltà, intelligenza, organizzare eventi di portata notevolissima, anche in una città onusta di mille problemi, talora drammatici, e spesso a rischio di desertificazione culturale, Catania, è data dallo Zanne Festival, giunto alla sua terza edizione e preceduto da una strepitosa anticipazione nella bellissima cornice del Monastero dei Benedettini, sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, con gruppi quali Soft Moon e i leggendari Fall di Mark E. Smith. Grande musica, lezioni di chitarra per bambini, skate contest, percorsi liberi per mountain bike, corsi di yoga, miriadi di mercatini a corredo della manifestazione, nella cornice superba del Parco Gioeni, altrimenti destinato al degrado… E valga, a prescindere dai legittimi gusti musicali di ciascuno, dalla libertà di poter elevare critiche e suggerimenti o lagnanze d’ogni sorta in ordine alla line-up, il fatto che comunque si sia dato vita a un evento di grande portata e respiro internazionale.

 

E qui, i meriti degli organizzatori di Zanne sono inconfutabili e oggettivi. Se in un recente passato, nella prima e nella seconda edizione, abbiamo visto trascorrere sul palco etneo - noi di Distorsioni c’eravamo - potenze musicali salite dagli Inferi (Swans), o inquietanti corifei di musiche oblique (Blonde Redhead, Clinic) ad esempio, quest’anno la ZANNE COVER 2015kermesse di Zanne si caratterizzava per l’incremento di una serata, rispetto agli anni precedenti, e per una line-up assolutamente variegata negli stili e nei generi musicali, com’è d’altronde prerogativa usuale del Festival, che si prefigge anche lo scopo di abbattere gli steccati sia di matrice musicale che culturale tout court. Resta la sensazione della consumazione di un evento magnifico, con alcune perle assolute su tutte che andremo a descrivere nel dettaglio, sebbene, lo ribadiamo, non ogni singolo concerto sia stato suscettibile di trascinare gli animi all’entusiasmo.

 

16 luglio  Wow! Signal, Balthazar, Franz Ferdinand/Sparks

 

wowL’onore di aprire le danze dell’edizione 2015, spetta di diritto ai bravi Wow! Signal, vincitori dello Zanne contest per le band emergenti, che si disimpegnano con grande dignità sul palco del Parco Gioeni, relativamente alla manciata di minuti loro riservata.

Poi, è la volta dei belgi Balthazar. Maarten Devoldere, Jinte Deprez, Patricia Vanneste, Simon Casier, Michiel Balcaen. Reduce dalla pubblicazione del suo ultimo lavoro, “Thin Walls”, la band sciorina un gradevole tappeto di indie-pop, gremito di suoni mutuati da mostri sacri quali il Bowie di “Never Let Me Down”, Red Hot Chili Peppers, Roxy Music, frullati in chiave di pop leggero e di una certa scorrevolezza. Onestamente non hanno impressionato più di tanto. Certo hanno una bella energia dal vivo, atmosfere avvolgenti, e tuttavia il loro sound pare troppo derivativo, privo di picchi di personalità e originalità.

 

Frand Ferdinand + SparksIl concerto più atteso della serata è quello che vede insieme, in un connubio che ha suscitato alquanta curiosità presso gli aficionados, i Franz Ferdinand e i fratelli Mael, Russell e Noel, leaders degli storici Sparks, glam band fondata negli anni ’70. Duole dire che l’esperimento, sostanziatosi in un album appena licenziato, “FFS”, non è di quelli che trascinano all’entusiasmo. Certamente dal vivo riescono a suscitare qualche favilla di una certa potenza, resta il fatto che la band scozzese di Alex Kapranos e quella dei fratelli Mael non s’incontrano su piani virtuosi. Resta, tuttavia, in ragione dell’energia profusa sul palco, l’impressione di un evento di buona portata spettacolare.

 

17 luglio  Ultimate Painting, Dead Brothers, A Place To Bury Strangers, Spiritualized

 

Ad aprire la seconda serata di Zanne, il valido sodalizio inglese tra James Hoare, chitarrista dei Veronica Falls, e Jack Cooper, vocalist e chitarrista dei Mazes, accomunati nel progetto Ultimate Painting. Un suono accattivante, a metà tra istanze cantautorali e devianze psichedeliche.

deadCapitanati con piglio di satanasso zingaresco dall’istrione Alain Croubalian, un ensemble in bilico tra suoni tzigani e cataclismi sonori di matrice etnica tra l’Irlanda e i Balcani, gli svizzeri Dead Brothers, a variegare il tessuto sonoro dell’avernale serata di luglio. Sulla scia del loro ultimo lavoro, venuto alla luce nel 2014, “Black Moose”,  i Nostri divertono la stupefatta platea, con un simpatico fuori programma, una ventina di minuti ulteriori di concerto “unplugged” tra il pubblico.

 

Non vi è dubbio alcuno che ci è sembrato di risentire il sound potente e acido, riconoscibilissimo, di icone quali Jesus And Mary Chain, My Bloody Valentine, Telescopes, allorquando sul palco sono saliti i newyorkesi A Place To Bury Strangers, freschi della pubblicazione del loro ultimo album, “Transfixiation”. Concerto strepitoso di Oliver Ackermann, Dion Lunadon e Robi Gonzales, che hanno incendiato la scena con potenti staffilate di feedback chitarristico, percussivi deliri psichedelici, muri del suono infranti, come con magli infuocati, a colpi di rock. Grandiosi.

 

spiriPerla tra le perle, prodigioso affresco di visionaria psichedelia, l’esibizione degli Spiritualized dello stregone Jason Pierce, “Mr. Spacemen 3”. Un concerto che rimarrà a lungo nella memoria di chi avuto la fortuna di presenziarvi. Una lunga cavalcata nelle regioni impervie dello psych-rock, con impennate di favoloso suono spaziale, intersecantesi con suggestioni di mera sinestesia, indotta da un magnifico gioco di luci, con alternanza di toni ora squisitamente onirici ora di selvaggia e incontenibile energia cosmica. Immensi.

 

18 luglio  Camp Claude, Peter Kernel, Hookworms, Luke Abbott, Four Tet

 

La terza serata di Zanne si apre con l’esibizione del terzetto pop Camp Claude, guidato dalla venusta Diane Claude Sagnier, coadiuvata da Michael Giffts e Leo Hellden. Un sound alquanto scialbo e dai toni superficiali, venato di un pop frizzante come un vinello estivo ma che non lascia traccia alcuna di profondità.

Dall’impatto migliore sul piano kernelartistico è l’esibizione degli elvetico-canadesi Peter Kernel, Aris Bassetti e Barbara Lenhoff. Autori di un piacevole suono punk-beat, venato di velleità art-rock, suonano con buonissima lena e perizia strumentale.

 

Ottima, invero, la performance degli inglesi Hookworms. Il combo di Leeds, guidato dall’ineffabile MJ (adottano solo le iniziali), sulla scorta dei due lavori sulla lunga durata sin qui realizzati, “Pearl Mystic”, “The Hum”, inscena sul palco una scatenata sarabanda di matrice space-rock venata di electro-dark. Come se i leggendari Hawkwind incontrassero l’oscura e immedicabile follia dei Suicide. Gran concerto, davvero, ebbro di atmosfere inferme e febbricose. Gli oltre trenta gradi incombenti sulla notte etnea, fanno il sacrosanto resto.

 

Onestà intellettuale vuole che lukeesibizioni quali quella del pur valido Luke Abbott, produttore di suoni elettronici del Norfolk, paiano asimmetriche rispetto al tenore complessivo della kermesse. Nonostante un’indubbia perizia nell’uso delle “macchine”, Luke non riesce a fuoriuscire dallo stereotipo della tendenza dance floor, non incidendo in alcun modo nell’impianto qualitativo della serata musicale.

 

Seppur su di un piano di maggiore spessore artistico, anche il live set elettronico di Four Tet (Kieran Hebden), protagonista di importanti collaborazioni (Thom York, Burial) e di un ultimo album, “Morning Evening”  fresco di stampa, fallisce il bersaglio. La classe di Kerian non è in discussione, tuttavia suona stridente l’atmosfera eminentemente “da intrattenimento” in un simile contesto.

 

19 luglio  Jacco Gardner, Timber TimbreGodspeed You! Black Emperor

 

jaccoSpetta a Jacco Gardner aprire l’ultima serata dello Zanne Festival 2015. Il bravo polistrumentista olandese già titolare in un recente passato del marchio Skywalkers con Hugo Van De Poel,  la cui carriera solistica s’è sostanziata in due album, l’ultimo dei quali, “Hypnophobia”, appena uscito, sciorina un’intrigante proposta di psych-folk, con accenti rinvianti a echi e frammenti di un Syd Barrett. Una performance di assoluto rispetto. 

 

Sontuoso, per vero, a seguire, il concerto dei canadesi Timber Timbre, dei quali è uscito nel 2014 l’ultimo album, il quinto, “Hot Dreams”. Un sound quello del combo canadese abilmente guidato da Taylor Kirk, frutto di una accattivante miscellanea di blues desertico e scarnificato come un osso di seppia, distorta psichedelia, canzone d’autore scavata nella maledizione della parola poetica, atmosfere sognanti ma sempre ai limitari dell’incubo, colonna sonora degna di lungometraggi pennellati di nero. Un punto d’intersezione artistica a metà strada tra Nick Cave e Mark Lanegan, con una varietà encomiabile di timbri armonici e di soluzioni stilistiche. Grande gruppo, invero. E splendido concerto.

 

Macchina che fabbrica misticismo industriale, un fuoco tossico che invade l’anima, una mistica del vuoto in forma di acustico e catatonico delirio per amanti della fine del mondo: Godspeed You! Black Emperor. A chiudere il cerchio “zannesco” la possente creatura avernale saliente dagli abissi dell’animo umano. Concerto tra i più intensi degli ultimi lustri, quello della valorosa band canadese, il cui ultimo album, “Asunder, Sweet And Godspeed You! Black EmperorOther Distress” è appena uscito. Irripetibile l’atmosfera che si crea intorno, sotto la cappa solforosa dei quaranta gradi, immagini che scorrono sullo sfondo a sommo del palco, curate da Karl Lemieux, sotto l’incessante ossessione del suono ora dirompente ora quieto come un mare notturno entro cui covi l’incipit dell’imminente tempesta. La creatura di Efrim Menuck e Mike Moya erige, in due ore piene di musica, inquietanti e oscure cattedrali sonore, torri d’avorio abitate dai demoni della contemporaneità, agglomerati di urbana devastazione e sofferenza. Difficile rammentare concerti di una simile, impressionante potenza, con scariche di paranoica implosione armonica, immagini pugnalate al centro da lame di delirio sonico. Degna e preziosa conclusione di una rassegna complessivamente fantastica, nella speranza che il barrito rigenerante dell’Elefante non abbia mai a cessare. 

 

Rocco Sapuppo

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