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6 Aprile 2020

Luca D'Ambrosio Musica Migrante – Dall’Africa All’Italia Passando Per Il Mediterraneo

2019 - Arcana Edizioni - 223 Pagine

Allo spirare del 2019 vede la luce, per i tipi di Arcana, “Musica Migrante - Dall’Africa All’Italia Passando Per Il Mediterraneo" di Luca D’Ambrosio, noto blogger e critico musicale, fondatore di Musicletter.it, con le belle prefazioni di Angélique Kidjo, apprezzata cantante e musicista del Benin e Valerio Corzani, e le illustrazioni a cura di Laura Colucci. Diciamolo subito: si tratta di un libro coraggioso e nobilmente mirato, diremmo teleologicamente, a un fine di risarcimento morale. Verso una cultura, quella africana, per troppo tempo colpevolmente ignorata o considerata ancillare rispetto a quella della civiltà occidentale. Con quest’operazione, Luca cerca di restituirle dignità umana e culturale nel senso più alto, e inquadrando il tutto sia dal punto di vista del vissuto dei personaggi delineati nel libro che da quello eminentemente musicale. In tempi nei quali la fobia del diverso, dell’altro da sé, l’odio etnico e razziale occupano tristemente le cronache quotidiane, D’Ambrosio mette, invece, in rilievo, prima di addentrarsi con notevole destrezza intellettuale nella trattazione musicale vera e propria, l’umanità, molto spesso drammaticamente fratturata dei protagonisti della prima parte del libro, che non a caso s’intitola “Storie”. In essa, si stagliano i profili di ragazzi e ragazze, persone, sfuggiti a regimi spietati nei loro paesi d’origine, e fortunosamente approdati in Italia dove cercano di costruirsi un’ipotesi di futuro credibile, da persone libere, ma portandosi dentro il marchio indelebile della sofferenza, e non di rado delle torture subite. Luca, con il fine di far emergere le aspirazioni e i sogni più autentici di queste persone, facendole parlare anche, ad esempio, della loro musica preferita, e non senza una punta di emozione che affiora qua e là, intervista una serie di uomini e donne, la più parte giovani, che raccontano la loro odissea, prima di giungere in una terra che sperano possa loro dare un minimo di prospettiva umana e lavorativa. Vediamo sfilare, così, in rapida successione, personaggi quali, ad esempio, Yossuf, proveniente dal Burkina Faso e ora bagnino nell’isola di Procida; Ebele, una ragazza di Benin City, fuggita dalla Nigeria poiché lo zio l’aveva legata a sé a fini innominabili con un rito juju legato alla divinità Ayelala, e non avendo rispettato il giuramento era stata minacciata di morte; Mustafà, giovane originario del Niger, la cui famiglia è stata completamente sterminata da un’organizzazione terroristica di matrice islamica denominata Boko Haram, e che ora, indossando una maglietta del Celtic Glasgow, confessa le sofferenze e le torture al confine libico, prima di approdare in Italia. Sono tutte storie toccanti, dalle quali si evince la crudeltà e lo spirito di sopraffazione e violenza nei confronti di esseri umani inermi. Luca evidenzia tutta questa mole di sofferenza umana, ma emerge, altresì, in ciascuna di queste persone, malgrado tutto, uno spirito di resistenza e di volontà di riappropriarsi dell’essenza vitale, in cerca di una patria, di un riscatto sulla base dei valori inalienabili della dignità umana. Ci si chiederà: cosa c’entra questa serie di interviste a questi ragazzi con la musica? Ce lo spiega lo stesso Luca, attraverso un aneddoto amenamente raccontato nel libro : “...dirigendomi con passo veloce verso la sala d’attesa. Nell’attraversare il lungo e stretto corridoio, che dal refettorio conduce all’ingresso, incontro un drappello di carabinieri impegnati a chiedere documenti e informazioni ai responsabili della struttura. Si trovano esattamente davanti alla porta della segreteria. Al mio passaggio uno dei quattro mi ferma e mi domanda se anch’io faccia parte dell’organizzazione. La mia risposta ovviamente è: «No, mi spiace», ma prima ancora che l’interrogatorio prosegua lo anticipo dicendogli che sono lì per intervistare i migranti. Al che mi chiede: «Giornalista, eh?». E io: «Be’, non proprio, diciamo che sono un blogger appassionato di musica». Allora mi fa: «Mi scusi, ma cosa c’entra la musica con i migranti?». A quel punto mi tocca spiegare meglio: «Apparentemente niente, Capitano, però se lei si guarda bene attorno, qui, quasi tutti indossano cuffie o auricolari per ascoltare musica dal proprio telefonino. Ecco, a me interessa sapere quali siano i loro artisti e generi preferiti e, se ci riesco, provo anche a raccogliere ricordi e sentimenti che questa gente si è portata dietro nel lungo e faticoso viaggio dall’Africa all’Italia. Insomma, Capitano, la mia intenzione è ascoltare i loro racconti e cercare di farne un libro che metta in risalto musica e storie personali».Lui mi guarda e dice: «Ho capito, ho capito. Buona fortuna. Ah! Comunque io non sono Capitano ma Maresciallo». A quel punto mi scappa da ridere...”

Nella seconda parte, intitolata “La Musica”, il Nostro descrive con puntualità e grande spirito di ricerca filologica le origini della musica tradizionale africana, facendo distinzione tra Africa Settentrionale e Africa SubSahariana. Qui entriamo nella parte saggistica del libro. Ora, è rilevato nel testo, mentre nella prima, Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto e Libia, il contatto con la civiltà occidentale è più stretto, e quindi l’interazione tra le due culture più osmotica, nella seconda si assiste a tutto un viluppo di musiche autoctone diremmo di tipo tribale. Per questo, il riconoscimento dell’evidenza transnazionale della musica dei paesi subSahariani emerge con netto ritardo rispetto a quell’altra. Se nell’Africa del Nord la musica è essenzialmente di tipo monodico e vocale con accompagnamento ritmico, a sud del Sahara si profila una tipologia musicale di tipo sostanzialmente polifonico che presenta schemi poliritmici. Ci vorrà, tuttavia, l’evo moderno, per conferire dignità di musica come fenomeno artistico e non semplicemente tribale o folklorico, con la ineluttabile contaminazione tra le due culture, con la globalizzazione della fruizione attraverso i dischi, dagli anni ‘50, prima, e le piattaforme di ascolto digitale in seguito. Ecco che D’Ambrosio passa in rassegna i principali strumenti musicali tradizionali, artisti e generi musicali che hanno fatto conoscere la musica africana nel mondo. Grazie anche ad artisti occidentali di eccezionale livello che ne hanno promosso la diffusione: Peter Gabriel, fondatore della Real World, etichetta che ha promosso e fatto conoscere decine e decine di artisti africani e non solo in tutto il mondo; David Byrne, già leader geniale dei Talking Heads; Paul Simon, soprattutto con l’album “Graceland”, dove si attornia di grandi musicisti sudafricani, solo per fare qualche nome. E di artisti formidabili la madre Africa ne ha dati tanti, una pletora che Luca espone con rigore analitico e puntuale, ciascuno in un genere diverso, di cui, per ovvie esigenze espositive, non è possibile dare completa narrazione. Dalla Nigeria, ad esempio, personalità del rango di Fela Kuti, campione dell’afrobeat, nonché leader carismatico assoluto, o King Sunny Adé, massimo interprete della musica Juju; dal Senegal il grande Youssou N’ Dour; Papa Wemba dal Congo, Miriam Makeba dal Sudafrica; Manu Dibango, Hugh Masekela, il celebre Khaled, il più noto esponente del räi algerino; il grandissimo Alì Farka Touré, massimo esponente del “desert blues” del Mali; i gruppi musicali di lotta alle dittature, pensiamo a musicisti ribelli, con la chitarra al posto del mitra, della tradizione Tuareg, in primo luogo i Tinariwen, e tanti altri ancora. In conclusione, davvero un libro ricco e prezioso e dal punto di visto sociologico e da quello più spiccatamente trattatistico, in ordine al fenomeno precipuamente musicale, relativamente a un’area geografica e culturale del mondo da troppo tempo obliata e che anche grazie a Luca D’Ambrosio ci sarà possibile conoscere meglio.

Voto: 8/10
Rocco Sapuppo (Direttore Editoriale)

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