Viagra Boys Welfare Jazz

Ottimo comeback per gli svedesi Viagra Boys, che con “Welfare Jazz” mostrano di aver appreso e reinterpretato a modo molto loro la lezione del redivivo post punk britannico. Caustici verso la società contemporanea fin dal titolo del disco, l’act di Stoccolma ci propone un lavoro dal mood corrosivo e sarcastico, il cui tono nichilista sembra invitare i propri ascoltatori a distruggere il mondo che li circonda, per poi lanciarsi in una danza sfrenata sulle sue macerie. Un post punk infarcito di elementi garage e hard rock, su cui si erge la voce del cantante Sebastian Murphy - un californiano ormai da anni trasferitosi in Svezia - ruvida, alcolica e arrabbiata quanto basta per scatenare il pubblico, ascoltare gli anthem Ain’t Nice e Toad per credere. Come nei recenti lavori di Shame, Fontaines D.C. e the Wants, anche in “Welfare Jazz” a prevalere è un senso di disincanto; ciò non di meno, i tredici brani come si suol dire spaccano senza punti deboli o cali di tensione, regalandoci anche sorprendenti atmosfere in pezzi come Creatures, sensuale danza notturna il cui stile oscilla fra quello dei Talking Heads di “Fear of Music” e il David Bowie berlinese. Alternando sapientemente queste atmosfere oscure e annebbiate dai fumi dell’alcool con pezzi sparati a tutta velocità (vedi soprattutto due potenziali super singoli come Shooter e Girls & Boys), i Viagra Boys ci fanno scatenare fino alla fine del disco grazie ad un senso del ritmo davvero notevole, mirabilmente scandito dall’ottima sessione ritmica formata dal batterista Tor Sjödén e dal batterista Henrik Höckert, con menzione particolare anche per il sax di Oskar Carls, capace di conferire al disco un mood decadente e morboso. “Welfare Jazz” è insomma un lavoro ispirato e ricco di brani esaltanti, grazie al quale i Viagra Boys entrano di prepotenza fra le nuove leve più interessanti della scena alternativa internazionale.