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15 Giugno 2020 ,

Caleb Landry Jones The Mother Stone

2020 - Sacred Bones Records
[Uscita: 01/05/2020]

Con "The Mother Stone" (Sacred Bones Records) si alza il sipario sulla carriera da musicista dell’attore Caleb Landry Jones, una delle figure secondarie più inquietanti del cinema moderno. L’ambizione del lavoro, espressa in un monumentale blocco di 15 tracce, è il tentativo di consolidare anni e anni di bozze, prototipi ed esperimenti mai incisi prima su disco dal giovane texano: un disco pieno, imprevedibile, dall’ascolto non facile, saturo di stranezze psichedeliche e congegni stilistici peculiari, che merita decisamente un livello di attenzione superiore a quella che il performer di serie B si sia mai guadagnato sotto i riflettori di un set hollywoodiano. A un primo impatto, "The Mother Stone" non può che essere considerato come uno dei debutti solisti più spregiudicati e meno convenzionali dei nostri tempi: un frammentato collage di songwriting audace e progressivo, un dialettico intreccio di dissonanze macabre ed armonie divine, una competenza musicale avanzata e una padronanza strumentale di stampo classico che, in un panorama musicale dove i beat elettronici e l’auto-tune regnano sovrani, carica automaticamente la musica di una componente onesta, reale, rinfrescante. Il background cinematografico di Caleb Landry Jones traspare dalla sua abilità di utilizzare linguaggi diversi rendendoli coesi attraverso il filo conduttore della musica: come i suoi personaggi sul grande schermo, le tracce sono legate da un sentimento di ossessione maniacale, espresso nei cambi repentini di chiave e di tempo, nelle macabre armonie spettrali, nelle sezioni orchestrali e nella consistenza distorta e cupa del suono. Tecnicamente parlando, l’espressionismo di Landry Jones sintetizza perfettamente la varietà di stili impiegata dai mostri sacri del rock psichedelico anni ’60. Mentre l’ispirazione principale a livello di scrittura, stesa in forma libera e disincantata, rimanda alle cadenze british di Syd Barrett, la sua tecnica canora si esprime in tutta la sua versatilità, capace di passare dai cinguettii lennoniani più mistici a sprazzi di follia marchiati a caldo da Captain Beefheart. La debolezza del disco è, senza dubbio, la sua lunghezza, rea di spogliare l’album della sua consistenza e di renderlo, a tratti, meno interessante di quello che davvero è. Le singole tracce pulsano di un sentimento singolare di originalità, ma non sono solide abbastanza da sorreggere il filone narrativo dell’opera. Proprio quest’ultima, nella sua interezza, contiene ripetività stucchevoli attraverso i suoi 65 minuti, come ci si trovasse a leggere un racconto breve di 300 pagine.Tirando le somme, con "The Mother Stone" Caleb Landry Jones si presenta di fronte alla sua audience come una delle figure più poliedriche e sottovalutate dell’arte contemporanea, liberandosi dalle catene legate alla sua principale professione creativa ed accantonando la paura di non essere preso sul serio. Il suo è un cabaret da notte fonda, pensato e costruito per orecchie da iniziati. Le poltroncine potranno anche non essere piene, ma questo non vuol dire che non sia uno spettacolo degno di essere ascoltato.

Voto: 6.5/10
Gabriele Bartoli

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