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5 Maggio 2013 ,

John Murry THE GRACELESS AGE

2013 - Evangeline Recording Co
[Uscita: 2/04/2013]

JOHN MURRY – THE GRACELESS AGE 02/04/2013 Evangeline Recording Co # CONSIGLIATO DA DISTORSIONI

 

Qui si è di fronte a un capolavoro che ha rischiato seriamente di passare inosservato. Per fortuna si fa ancora in tempo a inserire questo esordio solista di John Murry, cantautore di Tupelo, Mississippi, tra le novità perché la sua uscita negli Stati Uniti è avvenuta proprio in questi giorni, quando in Europa era già uscito sul finire del 2012 via Bucketfull of Brains. E’ anche in arrivo una versione Deluxe, con  diversa e più attraente copertina che vede l’aggiunta di 6 brani tra demo e versioni alternate. “The Graceless Age” è frutto di una storia lunghissima e travagliata, sovrapponibile in qualche modo a quella del suo autore e arriva a noi dopo cinque anni di lavorazione, tra frustrazioni, mille ripensamenti, indecisioni, diversi missaggi e soprattutto dopo il disco in coppia con Bob Frank, quel “World Without End” fatto unicamente di scurissime murder ballads che più di cinque anni orsono aggiornava Nebraska, Nick Cave e The Man in Black. Per chi lo volesse riscoprire, quello era un album che anche se percorreva territori ampiamente sfruttati, aveva la particolarità di avere tutte le canzoni autografe e basate su personaggi e fatti realmente avvenuti tra la metà del ‘700 e gli anni ’60 del secolo scorso. Inoltre i titoli dei brani riportavano il nome dell’omicida (solo in un caso quello del luogo) e l’anno in cui avvenne il delitto. Dieci canzoni di morte, sangue e violenza che non lasciavano scampo alcuno. Proprio come quel disco anche questo gode della produzione dell’ex American Music Club Tim Mooney che però è tristemente mancato lo scorso anno prima di poterne festeggiare la pubblicazione, e si avvale dei contributi, tra gli altri, di Chuck Prophet, Nate Cavalieri, Quinn Miller, di Holly Cole e degli stessi Tim Mooney e Bob Frank.

 

Questo è il tipico album che dopo un ascolto affrettato sembra già mostrare tutto se stesso. Sbagliato. Basta grattare un po’ via la sua superficie fatta di Dylan, Cohen e Springsteen ma anche di Son Volt (per via del timbro vocale di Murry che ricorda da vicino quello di Jay Farrar), per scoprire un mondo parallelo pieno di influenze meno evidenti ma altrettanto alte. Disco di purissima imperfezione, multi-stratificato, pieno di abbaglianti  momenti di grazia e serenità quanto di stordenti passaggi di cruda desolazione, di vertiginose discese nelle oscure profondità dell’autodistruzione e ripide e faticose risalite verso una possibile redenzione, costruito suJOHN MURRY – THE GRACELESS AGE 02/04/2013 Evangeline Recording Co dieci canzoni meravigliose legate assieme da un filo nero teso tra American Trilogy e American Gothic, scritte da una penna intrisa nell’inchiostro della migliore tradizione western e noir a stelle e strisce, quella per capirci che accomuna Cormac McCarthy e James Ellroy, Raymond Chandler e Jim Thompson. Canzoni a volte raccordate tra loro da rumori ambientali (ma non ingannino le campane a morto che introducono California, non è affatto un album cosi dark), dialoghi fuori campo (tra cui il discorso di William Faulkner, lontano parente di John Murry, al ricevimento del Nobel) e vecchie musiche provenienti da radio gracchianti.

 

Un disco di grande songwriting rock dall’impostazione classica e profonde venature country-noir visto attraverso un’ottica fieramente indie. Tutte le canzoni sono di qualità sopraffina, dall’iniziale The Ballad of the Pajama Kid introdotta e tagliata in diagonale da una chitarra ai limiti del feedback, fino alla cover di Thorn Tree In The Garden di Derek And The Dominoes che là chiudeva “Layla and Other Stories” e qui ha l’onore di sigillare questa meraviglia. Nel mezzo si è parte di un incantesimo che si vorrebbe non finisse mai. Che sia una crepuscolare Things We Lost In The Fire che ai Low ruba titolo e atmosfera e al Neil Young più selvaggio il finale con le chitarre al vento, o una fantastica No te da ganas de reir, Senor Malverde all’incrocio tra Bill Callahan e quel diamante pazzo che è stato Mark Linkous Mark Linkous dove si ascoltano una slide da urlo e un elegantissimo assolo di chitarra, o il bel tappeto fatto di fuzz e iridescenze che manderebbe in sollucchero i Flaming Lips della seguente Southern Sky, di cui vi invito a scoprirne il video dove un John Murry piuttosto inquietante si porta in giro un maestoso gallo nero (!)JOHN MURRY – THE GRACELESS AGE 02/04/2013 Evangeline Recording Co su una spalla, è tutto stupore, meraviglia e frastornante emozione. Poi, senza citarle tutte, ma tra la California di cui sopra, con i suoi vortici di chitarre, bassi profondi e droni e una Penny Nails che sembra presa di peso dal repertorio degli Sparklehorse, svetta Little Colored Baloons, canzone di una bellezza davvero incredibile. Una melodia purissima basata sui silenzi e sulle poche note di un pianoforte disadorno, sostenuta da un violoncello che ne sottolinea la surreale atmosfera e un coro femminile come l’avrebbe arrangiato il Cohen maturo, presenta un testo travolgente che racconta con distacco e disillusione la morte sfiorata dall’autore per un’overdose:Saran wrap and little colored balloons. A black nickel. A needle and a spoon./I know you don’t believe in magic. Nobody does. Not anymore”, recita il ritornello. Demoni e incubi di una vita intera vengono portati alla luce e messi a confronto per giungere, in un concitato finale, almeno a una sorta di mediazione: “I still miss you so much. I still miss you so goddamn much”. Dieci minuti di cristallina e assoluta perfezione, la Heroin, la Drive All Night e la Street Hassle di questi anni senza grazia. Un disco immenso.

Voto: 10/10
Roberto Remondino

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