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20 Aprile 2020 ,

Horse Lords The Common Task

2020 - Northern Spy Records
[Uscita: 13/03/2020]

Ci avviciniamo al nuovo disco degli Horse Lords "The Common Task", il terzo su CD, oltre ad alcuni lavori usciti solo su cassetta, molto incuriositi da informazioni lette in rete. Il gruppo è formato da Owen Gardner, chitarra, Andrew Bernstein, sax e percussioni, Max Eilbacher, basso ed elettronica, e Sam Haberman, batteria, proviene da Baltimora e si è formato nel 2010. Ognuno di loro ha gusti molto diversi, dal blues alla sperimentazione alla musica africana: cosa viene fuori dal loro incontro? Il primo brano, Fanfare For Effective Freedom (il gruppo esegue musica strumentale, ma c'è un forte retroterra politico nel loro agire) parte con un riff piuttosto pesante, per poi proseguire con quegli intrecci di chitarra 'stop and go' su tempi di batteria piuttosto intricati, tipici del cosiddetto math rock, che furoreggiava a Chicago a fine millennio scorso. Il brano seguente, Against Gravity, si mantiene su queste coordinate, alzando velocità e ritmo e dando maggiore spazio al sax. Il gruppo mostra una tecnica strumentale notevole, ma se questo non è quello che si cerca nella musica, specie se come chi scrive non amate molto la velocità, qualche perplessità comincia a emergere. Il terzo brano, Radiant City, mette a dura prova l'ascoltatore. Si tratta di un solo di cornamusa, suonata da Duncan Moore, un musicista scozzese che porta avanti il genere "piobaireachd", la musica tradizionale non da ballo delle Highlands. Alle cornamuse si alternano rari suoni di sintetizzatore, spesso solo dei fischi. Un brano di ascolto assolutamente non facile. Il titolo omaggia un progetto di Le Corbusier per la città di Marsiglia. La successiva People's Park, brano scelto come singolo, è più orecchiabile, gioca molto su poliritmie africaneggianti, con dispendio di percussioni. A chiudere il disco un brano molto più lungo, oltre diciotto minuti, Integral Accident. Si parte con una lunga divagazione ambient, rumori, suoni ambientali, voci trovate, suoni puri. Ci si aspetta un'evoluzione, e infatti dopo oltre sette minuti partono un riff di chitarra e e poi la batteria, sulla falsariga dei primi due brani. Nonostante il crescendo ritmico, cui partecipa anche l'inserimento dal sax, arrivare alla conclusione del brano è faticoso, a parte l'uso di una voce gorgheggiante il brano si rivela molto simile ai primi due. Alla fine di numerosi ascolti rimaniamo delusi. Gli Horse Lords ci erano stati presentati come prosecutori di un pantheon di nomi adorati, King Crimson, Can, Talking Heads, Tortoise. Ma le somiglianze sono superficiali: in quei gruppi c'era una profonda qualità di scrittura, che qui non troviamo, a renderli imprescindibili. Ci sono la tecnica, la ricerca, ma rischiano di risultare fini a sé stesse. Non un disco brutto, sarebbe disonesto bocciarlo, la sperimentazione e la ricerca del nuovo sono comunque sempre degne di rispetto, ma consigliabile solo strettamente ai fans.

Voto: 6/10
Alfredo Sgarlato

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