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21 Ottobre 2016 ,

Goat REQUIEM

2016 - Rocket Recordings
[Uscita: 07/10/2016]

Svezia-Lapponia    #consigliatodadistorsioni  

 

goat reqNon era facile giungere al terzo disco per la misteriosa band lappone dei Goat, dopo il clamoroso esordio con “World Music” che era esploso con tutta la sua fiammeggiante energia afrobeat e la conferma di “Commune” che si muoveva sulle stesse coordinate del precedente; era fin troppo ovvio che riproporre la stessa identica formula, sebbene vincente, avrebbe certo rappresentato un passo indietro, se non addirittura una crisi creativa per i musicisti di Koripolombolo. Ma naturalmente tutto con  Goat è avvolto nel mistero, sono fino a ora riusciti a mantenere il segreto sulla loro identità, come forma di opposizione alla società dell'apparenza e del virtuale, non a caso fanno esplicitamente richiamo a un altro 'misterioso', il geniale scrittore americano Thomas Pynchon. Ecco che allora, anche a rischio di spiazzare i fan, “Requiem” muta strada, inserisce nuovi strumenti, con una netta predilezione per quelli acustici, e influenze inedite: non a caso il disco si apre con Union of Sun and Moon, sorta di rito magico lisergico che dalla  torrida consueta Africa ci sposta verso le vette dei flauti andini, tanto per mettere subito le cose in chiaro: la capra non vi propone la solita minestra, ma il menu vi sorprenderà e vi stupirà.

 

Inizia così un rutilante  viaggio musicale condotto con la solita giovanile sfrontatezza ed energia dalla band svedese-lappone, nessuna paura di contaminarsi, di lanciarsi in ardite sintesi musicali. Così I Sing in Silence ci trasporta in decadenti tramonti tropicali con i suoi ritmi e suoni dilatati, mentre la trance ipnotica di Temple Rhythms si fa libera e gioiosa con flauti goat 1e tamburi che in un folle raga ossessivamente ripetono lo stesso circolo di note. La bucolica Alarms è una ballata folk da vecchia band hippie alla Incredible String Band, i ritmi afro-caraibici di Troubles in Rhythms e Psychedelic Lover, cantilenante e alcolica, trasognata e malinconica esaltano le capacità espressive dei Nostri.

Try My Robe si muove solo apparentemente sulle coordinate dei precedenti dischi per poi deviare verso sonorità orientali con protagonista il mandolino, mentre il progressivo tumulto di onde sonore di Goatband crea una trance ipnotica figlia del miglior kraut. Ma goat 2non basta, c'è spazio anche per i riffoni hard di Goatfuzz e per l'inaspettato arpeggio di chitarra acustica andaluso-mediterranea di Goodbye col suo andamento circolare in stile Bolero. Il disco si chiude con Ubuntu con  sonorità minimaliste sulle quali si alternano voci diverse impegnate a discettare sul senso di comunità e partecipazione umana, con tanto di citazione finale di Diarabi primo brano del loro album di esordio, come a chiudere idealmente il cerchio: i Goat sono sempre qui, diversi, ma sempre legati all'ispirazione tribale, psichedelica, pagana che ce li ha fatti amare. Il disco, tredici brani per più di un'ora di musica, esce in doppio vinile oltre che in CD. 

 

Voto: 8/10
Ignazio Gulotta

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