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24 Giugno 2012 , ,

Greenleaf NEST OF VIPERS

2012 - Small Stone
[Uscita: 3/06/2012]

Greenleaf Nest of Vipers # Consigliato da DISTORSIONI

 

“Nest of Vipers” è il quarto album dei Greenleaf, una grande famiglia (perché superband è riduttivo) svedese che vede militare tra le proprie fila vecchie conoscenze della scena stoner rock di inizio millennio (il chitarrista Tommi Holappa e il batterista Daniel Liden erano già nei Dozer e nei Demon Cleaner mentre il cantante Oskar Cedermalm viene dai Truckfighters). Un quarto album che arriva dopo un trittico di tutto rispetto (“Revolution Rock” del 2001, “Secret Alphabets” del 2003 e “Agents of Ahriman” del lontanissimo 2007) a rinverdire i fasti di una scena un poco bloccata e avara di nuove promesse iniettandole adrenalina, caldi riffoni hard di derivazione 70s e dolci melodie in odor di psichedelia. “Nest of Vipers” ci offre la band in piacevole stato di grazia destreggiarsi alla perfezione tra momenti duri dall'animo romantico, epiche sfuriate stoner old-school e ventate di psichedelia cosmica. Azzardo: siamo di fronte al disco che gli ultimi Queens of The Stone Age non sono mai riusciti a tirar fuori. Al di là della provocazione, che pur contiene un indubbio fondo di verità (ascoltatevi la bellissima Sunken Ships e capirete di cosa parlo), sarebbe oltremodo riduttivo confinare qui il lavoro dei Greenleaf.

 

“Nest of Vipers” è, prima di tutto e soprattutto, un disco scritto magistralmente e suonato con una convinzione e una forza che fanno impressione e che, a tratti, fanno venire i brividi sottopelle. Un disco che porta addosso segni e cicatrici dello stoner rock ma anche quelli di certo hard rock anni '70 (leggasi Grand Funk Railroad su tutti) mostrandoli al mondo con la giusta dose di arroganza e autocompiacimento. Un disco al quale, davvero, si fa fatica a trovare difetti. L'opening track Jack Staff riesce subito nell'intento di attirare le orecchie e i neuroni dell'ascoltatore, proiettandolo in un mondo bellissimo dove è facile incontrare la rudezza da biker dei Fu Manchu e il romanticismo (proletario) hard-blues dei Grand Funk; due stagioni (e idee) di rock che fracassano in un bellissimo ritornello dove la voce di Oskar tocca livelli di passione e liricità altissimi.

 

Ed il resto del disco è tutto un rincorrersi di melodie catchy intonate da una voce calda e seducente, furiose accelerazioni desertiche (Lilith), oscuri momenti di psichedelia hard (la splendida At The Helm, con un organo spaziale e una performance vocale davvero affascinante) fino a raggiungere picchi di perfezione hard-stoner (Dreamcatcher) e rovinare in un finale veramente da brividi: gli otto minuti della title-track Nest of Vipers (A Moltitude of Sins) sono il piacevole riassunto del disco, un lungo mantra di elevata psichedelia rock (dalle parti degli Arbouretum) dove i nostri giocano a fare i maestri, lasciando all'organo il compito di tessere le fila di un pezzo che cresce con il passare dei minuti fino a giganteggiare con fare hard nella seconda metà. Pregevole.

 

Leonardo "Kaosleo" Annulli
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