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14 Gennaio 2013 , ,

Pere Ubu LADY FROM SHANGHAI

2013 - Fire Records
[Uscita: 08/01/2013]

pere ubu lady from shangai# CONSIGLIATO DA DISTORSIONI

 

Come al solito per sua ‘stranezza’ David Thomas e Pere Ubu annessi, anche nel nuovo “Lady from Shangai” le note bizzarre non mancano, a cominciare dal lunatico front-man che nell’iniziale Thanks fa il verso a Ring My Bell, dance hit del 1979 di Anita Ward, modificando algidamente il testo ed intonando a lungo un lamentoso you can go to hell’!  La cosa rimane più o meno ermetica sino a quando non si legge un’intercalare di Thomas parallelo all’uscita del disco:  ‘Abbattiamo l’egemonia della ‘dance’, qualcuno deve porre fine a questo abominio. Lady From Shangai è un album di ‘dance music fixed’”; e qui si può solo impazzire cercando di dare una giusta traduzione a quel ‘fixed’: fissata? aggiustata? riparata? sterilizzata? truccata? stravolta? Lasciando opinabile la soluzione non può non colpire come a distanza di 35 anni dalla loro fondamentale “The Modern Dance” (1978), i Pere Ubu tornino con premeditazione sullo stesso concetto, come un assassino che torna sul luogo del delitto, celebrando questo personale anniversario con una nuova opera che non solo concettualmente, ma sonicamente si ricollega con lucido metodo a quella, dove percorrevano ‘un viaggio sentimentale’ di new wave elettro-tossica corrosa al suo interno dai veleni della società post-industriale.

 

I sei straziati minuti finali synth-elettronici di The Carpenter Sun  costituiscono la colonna sonora ideale di un’aggiornata, estrema, sconvolgente ‘modern dance fixed’ che fa del totale sradicamento anarchico dei paletti armonici e melodici il suo radicale manifesto estetico. Ed ora che abbiamo trattato del  riluttante timido incipit e della fine apocalitticadavid-thomas-portrait di “Lady From Shangai”, si può solo tranquillamente confermare come i  tre quarti d’ora dei nove brani ossatura principale del lavoro riannodino i fili, con la cronica indolenza e la tragica spossatezza/consapevolezza esistenziale maturate fatalmente in ben sette lustri, con le due opere prime del 78-79, anche con gli incubi domestici ed etilici di “Dub Housing” (1979). Una line-up Pere Ubu 2013 da urlo, Robert Wheeler e Gagarin addetti ai nightmares tastieristici sintetici ed agli electronics vintage (insieme a Thomas stesso), il fido Keith Moliné e Michele Temple alle chitarre, Steve Mehlman, batterista primitivo e crudele, resuscitano clamorosamente le sghembe marziali geometrie Captain Beefheart-iane di “Trout Mask Replica” (Lampshade Man) ossidandole con l’angoscia senza speranza del terzo millennio: nelle parole di Thomas ancora corrosivo il rimorso tragico di Little Boy, la A-Bomb sganciata dal bombardiere Enola Gay su Hiroshima nel 1945, il senso di colpa trasmesso dai padri ai figli. L’orrore metafisico di Kurtz-Brando in “Apocalypse Now!” è la linfa miasmatica che deturpa i quasi sette minuti di 414 Seconds, una straziante 30 Seconds Over Tokyo  targata 2000. E come ingabbiare in una frustrante etichetta lo shuffle strumentale cibernetico Feuksley Ma'am, the Hearing, percorso/agitato da infidi venti elettronici, o And Then Nothing Happened, che dopo un farneticante ortodosso (per i Pere) incipit vocale ‘ubu-esco’  di D.Thomas /A.Jarry, si caccia in una sensazionale pantomima  spaziale-strumentale,  ideale soundtrack per un ’50 B Movie!

 

pere ubu 2013La visionaria Road Trip Of Bipasha Ahmed si lascia attraversare da una stringente logica math rock, ancora una volta un ideale cappotto sonico per le esternazioni-nenie recitate del genio paradossale David Thomas. C’è anche spazio per una sua patetica preghiera seriale che rimane conficcata nelle sinapsi: ‘ …come out to play Mandy’, più di sette minuti con l’ex palla di lardo, l’uomo che odia le donne, ad introdurre la lady-from-shangai, evocata da sinistri chinese-riff di vibrafonini  e di synth infidi e dalle volute oppiacee del clarinetto di Darryl Boon. A 35 anni dal primo album in studio, con "Lady From Shangai" Pere Ubu continuano a sperimentare, a fare terra bruciata con le loro intuizioni sorprendenti, David Thomas non è affatto stanco di creare desolati, ustionanti paesaggi dell'animo umano e di un pianeta sempre più sull'orlo del collasso ambientale; nel suo sguardo si può cogliere ancora un lampo di follia. Ben lungi dall'esaurirsi la linfa 'patafisica' del bizzarro 'Ubu Roi', parto del surrealista del XIX° secolo Alfred Jarry, che vivifica da sempre la band di Cleveland, Ohio. E questo, signori, è il primo grande disco del 2013.

 

Voto: 8.5/10
Pasquale Wally Boffoli

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