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1 Agosto 2020 ,

Alain Johannes Hum

2020 - Ipecap Recordings
[Uscita: 31/07/2020]

Stare nelle retrovie non è da tutti, la scelta di rinunciare alla luce diretta non è sempre una negazione, in quanto attribuisce la possibilità di raccontare le proprie storie attraverso gli altri, se possibile con una maggiore verità rispetto ad un racconto in prima persona. Ci sono volte in cui la vita però pone delle scelte a cui non è possibile sottrarsi, come quando si assottiglia il diaframma che ci separa dal mondo. Forse è proprio quello il momento in cui è necessario uscire allo scoperto per mostrare le proprie ferite, non come mera esibizione, bensì come peso specifico della vita reale. In un certo senso, questo è ciò che è successo a Alain Johannes, noto più per avere collaborato alla scrittura e produzione di artisti come Mark Lanegan, Arctic Monkeys, Queens Of The Stone Age e, soprattutto, Chris Cornell. “Hum” costituisce per Johannes il resoconto di svariati dolori dell’anima elaborati durante il tempo in cui è stato costretto a letto nel mese di novembre 2019 a causa di una brutta polmonite. Due eventi come la perdita della moglie Natasha Shneider ed il suicidio dell’amico Chris Cornell hanno rappresentato per il musicista e compositore di origini cilene una linea di demarcazione tra un prima ed un dopo e di ciò vi è un profondo riscontro in queste nuove canzoni. La musica di “Hum” fa risuonare evidenti imprinting umorali alla Cornell (si prenda l’opener Mermaid’s Scream come diretta derivazione da “Euphoria Morning”), dove la decadenza viene mescolata ad un folk umbratile vicino a Nick Drake (l’omonima Hum ha un evidente debito di riconoscimento verso “Pink Moon”), in una mistura da un lato ipnotica ed ancestrale, dall’altro dischiusa ad una dimensione bucolica e apparentemente pacificata. Ogni brano ha una valenza lunare come Hallowed Bones che potrebbe essere un antico madrigale desertico, mentre nelle trame elettriche di If Morning Comes e Nine sembra di scorgere la voce di Josh Homme immersa in naturale mood alla QOTSA. Free è un dolente fingerpicking, Sealed uno ieratico blues scabroso, Here The Silence ha una quiete alla Eddie Vedder in versione acustica, anche se tutto è riportato in forma più obliqua. Da segnalare poi le tessiture del sitar nella conclusiva Finis da cui si liberano spore psichedeliche, come in un rito sciamanico di liberazione, celebrativo tanto della fine quanto dell’inizio. Potremmo dire che “Hum” parla del passato e degli incontri che modellano la propria attuale identità. Se non c’è una sola fibra di queste dieci canzoni che non riporti a qualcosa di già sentito è perché riteniamo che Alain Johannes abbia voluto, nel bene e nel male, rinsaldare un vincolo con la propria storia personale e professionale, in un dinamica inversa in cui, anche questa volta, fare un passo indietro.

Voto: 7/10
Giuseppe Rapisarda

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