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4 Ottobre 2013 , ,

Dawn of Midi DYSNOMIA

2013 - Thirsty Ear
[Uscita: 06/08/2013]

Dawn of midi# CONSIGLIATO DA DISTORSIONI

 

La sensazione che si avverte ascoltando per la prima volta "Dysnomia" è di avere dinnanzi a sé qualcosa di raro e gli iniziali e rapidi accostamenti ad esperienze come Alarm Will Sound o Brandt Brauer Frick Ensemble vengono presto dimenticati, pur essendo ottime realtà appartenenti allo stesso ambito musicale. Il terzo album della band, che al momento ha eletto come propria base New York, cresce ad ogni ascolto e, pur volendo giocare all'analisi di quale tecniche abbiano usato per approntare la loro palette timbrica, il risultato rimane sempre lo stesso: ci si lascia sempre e comunque imprigionare nell'orbita di una musica magnetica dalle molte sfaccettature. Andando per gradi, Dawn of Midi è un trio composto dal pianista marocchino Amino Belyamani, dal contrabbasista indiano Aakaash Israni e dal batterista e percussionista pakistano Qasim Naqvi. I tre musicisti si conoscono a Los Angeles, al California Institute of the Arts, e cominciano a suonare assieme improvvisando durante lunghe sessions al buio (proprio così, senza l'ausilio della luce) per poi trasferirsi nella Grande Mela. I primi due album ("First" del 2010 e "Live" del 2011) si basano essenzialmente sulle possibilità che un buon interplay può offrire, qualità che i tre dimostrano di saper creare e gestire all'interno di brani completamente improvvisati e dall' impronta jazz e minimalista.

 

Quest'ultima fatica presenta invece una genesi completamente diversa. Risultato di ben due anni di intenso lavoro, "Dysnomia" (licenziato dalla prestigiosa Thirsty Ear) è un album dove nulla viene lasciato al caso; ogni nota, effetto timbrico o variazione ritmica è il frutto di continue prove che hanno portato la band ad una versione definitiva, registrata dal vivo e senza l'utilizzo a posteriori di alcun processo di editing. Le nove tracce, di quello che potremmo definire come un concept, scorrono l'una dentro l'altra come mixate dalle mani di un sapiente DJ e inducono l'ascoltatore ad un livello di attenzione piuttosto inconsueto al giorno d'oggi. Musica elettronica, minimalismo (soprattutto quello di Steve Reich), ed insistenti richiami provenienti dall'Africa Occidentale (la cui musica rituale gioca dawn of midiun ruolo di primo piano), risultano essere tutte componenti ben presenti e coerenti all'interno di un incastro sonoro asciutto ottenuto per sottrazione e nel quale gli ostinati di pianoforte e contrabbasso convergono costantemente in favore di una complessità ritmica che risulta essere uno dei cardini basilari del disco. E se "Dysnomia" è stato dichiaratamente concepito anche come un omaggio ai lavori di nomi come Aphex Twin, Autechre e Boards of Canada, l'album vive dell' acceso contrasto che si genera tra l'aderenza ad un'estetica, quella dell'elettronica IDM, e le modalità del tutto fisiche con le quali il trio ha prodotto la propria musica. Traendo spunto ed ispirazione tanto da John Cage quanto dalla musica africana, gli strumenti vengono suonati con tecniche non convenzionali, anche se già ampiamente diffuse nell'ambito della ricerca musicale d'avanguardia. In questa direzione, quindi, ognuno dei tre musicisti ha sviluppato la propria abilità nel sondare le possibilità timbriche del proprio strumento.

 

Ad iniziare dal pianoforte di  Belyamani, che viene suonato con la mano destra sulla tastiera e quella sinistra sulla cordiera, smorzando dinamicamente le singole corde oppure generando degli armonici, fino ad arrivare in un brano come Ymir ad emulare i movimenti dei filtri passa-banda comunemente diffusi nelle produzioni elettroniche. Tutt'altra suggestione, invece, quella presente in Atlas, episodio tra i migliori dell'album, dove il pianoforte sembra richiamare molto da vicino la timbrica di un qanun (cordofono della tradizione araba). E sempre in Atlas, si può ascoltare Israni produrre un colore simile ad una talking drums africana attraverso il proprio contrabbasso. Israni, tra l'altro, puòdawn of midi essere identificato come l'elemento collante del gruppo, in costante movimento tra armonici, grooves essenziali e momenti puramente percussivi nei quali il dialogo con i suoi compagni non può che essere serrato nella tessitura di una poliritmia di chiara matrice africana. Ed è probabilmente in quel gioiellino dal nome Ijiraq che quella complessità ritmica di cui si accennava prima porta i suoi frutti migliori, con i patterns tesi ed impeccabili eseguiti da Naqvi attraverso un set di batteria ridotto all'osso, nel quale un ruolo importantissimo spetta ad un secondo rullante modificato con una rete di plastica così da ottenere una sorta di saturazione del suono, una tecnica la cui origine ritroviamo in molte percussioni per l'appunto africane. Ma come riportato all'inizio dell'articolo, parole a parte sarà l'esperienza di ciascun ascoltatore a saggiare la forza attrattiva di quello che chi scrive ritiene uno degli album più affascinanti degli ultimi anni. Un augurio di sincero ascolto.

 

Voto: 8/10
Aldo De Sanctis

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