Telefon Tel Aviv Dreams Are Not Enough

A due lustri di distanza dal seminale “Immolate Yourself” ritorna sul proscenio la gloriosa sigla di Telefon Tel Aviv, uno dei progetti di musica elettronica più rappresentativi degli ultimi vent’anni. Orbato della presenza del prode Charles W. Cooper, deceduto in circostanze alquanto misteriose nel 2009, l’ipotesi del suicidio per ingerimento di un micidiale mix di farmaci è la più probabile, il componente superstite, Joshua Eustis, riporta sulla pista di decollo la navicella spaziale per esplorare nuove costellazioni di suono, se non di senso. Lo fa partendo da suggestioni oniriche, come suggerisce il titolo, “Dreams Are Not Enough”, all’interno delle quali ciascun brano corrisponde, sulla linea di una metafisica elettronica, a un segmento del sogno che Josh vuole rappresentare in forma sonora. Un’interminabile caduta sopra oceani di mera angoscia onirica. Alla ricerca di un’identità troppe volte frastagliata in particole di vuoto. L’album non tradisce, sebbene i livelli del decennio precedente siano difficilmente attingibili. Eppure, i suoni ammaliano e turbano, sospesi tra elettronica classica, ambient, suggestioni industrial. Schegge soniche quali I Dream Of It Often, intessuta su un tappeto di ardita sperimentazione, o Standing At The Bottom Of The Ocean, dal sapore eminentemente ambient, dipanantesi in morbide volute di suono brumoso, o, ancora, Arms Aloft, cupamente ritagliata su sonorità industriali, salvo poi declinare in una sorta di crepuscolarismo elettronico, rendono già il senso dell’opera. Tra le altre tracce degne di menzione figurano: la quieta escursione stellare di Eyes Glaring, l’ossessione percussiva di Not Breathing in cui un immaginario cuore artificiale pulsa di battiti sincopati, e la conclusiva distesa eterea, sorta di fiato siderale dispiegato sull’universale vuoto equoreo, di Still As Stone In A Watery Fane. Un album degno, invero.