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12 Novembre 2016

Sing Street John Carney

2016 - Irlanda
  • DATA USCITA: GENERE: Drammatico , Musicale ---ATTORI: Jack Reynor, Aidan Gillen, Maria Doyle Kennedy, Lucy Boynton, Marcella Plunkett --- SCENEGGIATURA: John Carney --- FOTOGRAFIA: Yaron Orbach ---MONTAGGIO: Andrew Marcus --- PRODUZIONE: Cosmo Films, Distressed Films, FilmWave --- DISTRIB.: BIM --- DURATA: 105 Min.  


Sing_Street_posterL’errore più grosso sarebbe quello di giudicare “Sing Street” con il parametro del vero anziché del verosimile. Dublino, nel 1985, doveva essere meglio di quello che si vede, ed è difficile credere che la sua gioventù non fosse ben cresciuta, musicalmente parlando, insieme agli U2, in quegli anni nel pieno del loro successo. Nel film Dublino è un deserto arido e la band irlandese non viene mai nemmeno citata. Invece gli U2 sono dietro le quinte, avendo non solo Bono e The Edge collaborato alla colonna sonora, ma persino seguito e dato consigli ai ragazzi per la loro interpretazione, e assistito il regista nel rendere credibile la ricostruzione. Non importa quindi se sia storicamente veritiero, perché Sing Street mira ad altro, mira ad essere un “Tempo delle mele” in salsa postpunk, e lo fa con una tale maestria da trasformarsi in un regalo per i cuori (oltre che orecchie e occhi) di vecchi e nuovi adolescenti, e dei loro un po’ amareggiati “fratelli maggiori”, di tutti coloro che non ce l’hanno fatta e a cui il film è dedicato con grazia.

 

Per questo scopo Dublino vale come una delle tante periferie del mondo, cosicché chi ha vissuto quegli stessi anni a Torino, o a Bari, o a Palermo potrà riconoscersi quanto chi li ha vissuti a Lubiana o a Valencia. Lo stesso, spostandoci nel tempo, per un adolescente Poster coreano Sing Streetdi oggi che abbia voglia di scappare, afferrare la sua vita a piene mani o semplicemente riuscire a conquistarsi la ragazza dei suoi sogni dedicandole una canzone. Perché di questo alla fine si tratta, ed è ammirevole come John Carney riesca a farlo per il terzo film di seguito, dopo “Once” (2007), anch’esso girato a Dublino, e “New York Melody” (2014). Sicuramente riesce a farlo grazie alle qualità delle canzoni e alla capacità di raccontare il mondo che c’è dietro chi, come lui, le compone. Come dice nell’intervista a Le Figaro del 26 ottobre scorso «Bisogna essere dei musicisti per realizzare un buon film musicale» e Carney dimostra di avere molto talento anche nella scrittura dei testi. Il suo è approccio dichiaratamente mainstream, confermato anche, nelle musiche originale per il film, da una netta impronta Motown con alle spalle tutto lo staff della Republic Records. In particolare di Adam Levine (Maroon5) con il DiscoSingStreetbrano Go Now e Hudson Thames (EP "Lip Tricks" della Motown Records). Un approccio musicale coerente con la regia, capace però di farci pensare al miglior Ken Loach quando descrive con tratti brevi ma sicuri una famiglia borghese che si sgretola sotto la crisi economica, o ci fa ricordare un Brian De Palma in grazia di Dio quando sposta il racconto tra sogno e parodia nel ballo di fine anno “all’americana”. Guardando i suoi tre film, sembra che John Carney le migliori prove di sè le dia in madre patria, qui con un cast interamente irlandese, dove spiccano davvero per bravura i protagonisti al loro esordio, anche per la giovane età. Aidan GillenChi ha seguito "Games of Thrones" non mancherà di riconoscere il “Ditocorto” Aidan Gillen (foto a destra) in un ruolo altrettanto meliffluo (vedi foto), ma lui come altri attori sono tenuti opportunamente a distanza dalla macchina da presa per lasciare spazio ai ragazzi. L’unico a dover tenere la scena è, nel ruolo del fratello maggiore del protagonista, Jack Reynor (foto sotto a sinistra), attore americano, naturalizzatosi irlandese dopo l’ottima prova data come protagonista, due anni fa, in “Glassland” di Gerard Barrett, un altro giovane regista dell’isola verde.

 

«Nessuna donna può amare davvero chi ascolta Phil Collins» è una delle lezioni che questo fratello maggiore dovrà impartire al giovane protagonista, oltre a quella di non diventare una cover band e di non dover prima imparare, e poi fare. Nel rock ci si getta singstreet_Jack Reynordirettamente nella mischia e via guru e santoni della maestria. Sing Street è, dietro le apparenze di film adolescenziale, un film sulla natura del rock, un film su una stagione di particolare rottura nella cultura popolare giovanile, negli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80. Quello che è certo, e vedendo questo film se ne ha la conferma, è che quegli anni hanno prodotto una colonna sonora sempre verde, buona per tutte le generazioni. Improvvisamente esplose una rivolta che distrusse ogni mitologia precedente, una specie di ribelle democratizzazione del rock, fatta di band che non sapevano suonare, ma buttavano dentro tutta l’energia possibile. E questo avveniva contemporaneamente in tutto il mondo, con Londra sì al centro, ma capace di far esplodere fuochi in qualsiasi periferia del mondo, e in modo del tutto imprevedibile e improbabile. Niente miti su cui piangere e strapparsi i capelli o inebriarsi d’immenso, ma spintoni e salti di gioia, con l’idea che domani possa toccare a me salire su quel palco. Una musica così semplice da restare ancora oggi sempre attuale su qualsiasi pista da ballo o in qualsiasi stanza di ragazzi. Ed è questo che Sing Street vuole raccontarci, scegliendo Dublino come una delle tante periferie della rivoluzione “londinese”. Dentro una struttura artificiale e consolidata, il film inserisce personaggi paradigmatici, e in alcuni momenti rasenta il saggio di antropologia visuale. ilVideoPer esempio quando ci mostra il modo con cui si forma la cultura del videoclip, sposando le nuove tecnologie, a quel tempo molto rudimentali, dell’home video. Chi ha vissuto, come chi scrive, quella stagione non potrà evitare non solo di riconoscersi, ma anche di ammirare la capacità di ricostruzione, di un modo di vivere e di agire nel suo farsi. La consulenza di Bono e The Edge è davvero servita a qualcosa.

 

 

LA TRAMA DEL FILM

 

Sing+Street+band+15La storia è presto detta: la crisi economica colpisce le famiglie borghesi e un ragazzo, Conor (l’esordiente Ferdia Walsh-Peelo), si trova ad essere spostato da un buon istituto superiore in una scuola con regole da collegio, gestita da preti, professori improbabili e compagni di estrazione proletaria, quasi tutti a rischio. Fin qui la necessità, per il nostro giovane protagonista, di trovare le sue strategie di sopravvivenza, divenendo subito da una parte oggetto di bullismo, e dall’altra di insofferenza della Direzione scolastica. La svolta avviene quando Conor, per conquistare una ragazza data da tutti per inavvicinabile, s’inventa di avere una band e la ingaggia come modella per un videoclip. Dietro questa “stupida” trovata c’è la figura chiave del film: Brendan, il fratello maggiore. La sua stanza è per Conor il luogo della formazione, buia e piena di vinili. È lui che lo educa ad acoltare Cure, Joy Division, Clash, The Jam, Depeche Mode, A-Ha e Spandau Ballet. È sempre lui a piazzarsi con il fratellino davanti alla TV quando c’è “Top of the Pops” per ammirare i video dei Duran Duran e insegnargli ad ascoltare il basso di John Taylor. Sarà questo l’evento scatenante di tutta la vicenda. Seguiranno i mille cambi di look, uno per ogni nuova onda emergente, non potendo mancare, come d’obbligo per segnare questa stagione postpunk, il segno di David Bowie in un travestimento glamour. Si può storcese il naso per come il film si avvicina ai generi, mischiando brit pop, dark, punk e new romantic. Sing street non rispetta i confini che qualsiasi cultore di sottoculture musicali troverebbe invalicabili, usando il pretesto di un punto di vista periferico, dove non FollowSingStreetNewRomanticsi fanno distinzioni e si consumano questi “prodotti” dalla televisione, come in Italia poteva succedere con Carlo Massarini o Renzo Arbore. Non siamo nei ghetti di formazione di culture suburbane, siamo tra i ragazzi di una scuola destinata a produrre solo disoccupati e operai ubriachi. Ed è nel personaggio perdente di Brendan, che non è riuscito a scappare di casa, non ha terminato gli studi e si è rinchiuso in camera a vivere di sogni e vinili, che il film ha la nota più dolce. Il suo salto di gioia nel vedere Conor raccogliere la sfida e salpare incosciente verso il “centro del mondo”, è l’omaggio che il film fa a tutti i fratelli maggiori, quelli che hanno dovuto preparare il campo ai loro “fratellini” e mantenuto per loro un cuore grande.

 

P.S. Unica nota dolente, molto dolente: la decisione di distribuire anche questo film doppiato. Ve ne accorgerete confrontando le parti cantate ai dialoghi. La perdita è grande, e visto il consumo preponderante nelle nuove generazioni di prodotti in streaming in lingua originale, è una scelta dannosa anche per la riuscita del “prodotto”. Ignoranza dei distributori o nostra presunzione?  

 

Angelo Amoroso D'Aragona

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