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29 Gennaio 2016 , ,

Krea BEAT FOLK & INCHOERENT SONGS

21 gennaio 2015 - Seahorse Recordings/Audioglobe

 

Ci piace pensare che Krea, artista calabrese di nascita ma marchigiano d'adozione, abbia voluto rendere omaggio alla lingua di derivazione greca parlata in alcune zone della sua terra di origine. Kreas in greco antico indica la carne, ma nelle trasformazioni fonetiche intervenute nel sud Italia la s cade lasciando a nudo una strana eco tra la tradizione ellenica e la lingua italiana; Krea(s) e creazione, carne e arte, come scrittura sul corpo della realtà. Non sappiamo, si diceva, e importa poco, se Krea abbia avuto in mente questa genealogia nella composizione delle otto tracce di cui si compone "Beat folk and inchoerent songs"; sappiamo però che appartiene all'opera realmente riuscita non solo ciò che l'artefice vi ha immesso ma ciò che è evocato senza essere presente, ciò che l'artista ignora rispetto alla sua opera.

In questo senso Krea produce materiale sonoro attingendo coscientemente dalla struttura ritmica della musica popolare e melodie dalla più recente tradizione della new-wave degli anni '80. Krea mira a una ossessiva elementarità della rifinitura dei suoni come se tutto quello che ascoltiamo fosse prodotto per la prima volta in una sorta di stato aurorale che dal rumore vira alla complessità musicale.

 

E questo aspetto è sommamente presente in Enotria - brano che apre l'album - che ruba l’incedere dritto e folle delle più rudimentali drum machine e vi accompagna il lato più oscuro della gothic sinfonica. Meridio sfrutta una spiccata sensibilità folk per produrre scale arabe disturbate e monche alludendo a una tradizione sempre ripresa e sempre interrotta esattamente come la cultura delle civiltà che hanno attraversato e animato il mediterraneo. Le stratificazioni si rincorrono in un pulp onirico e crepuscolare, è così che gli 8-bit di R-Umor di Bresci cadono nella foresta sonora di U-Jo.

E se parliamo di foresta sonora non è da credere all’uso della facile metafora, siamo realmente di fronte agli ululati rumorosi e ai barriti elettronici di un mondo musicale prossimo all’animalità. Border, Learn to Live e Agosto sono allora i riti di passaggio di un mondo decadente sempre in bilico tra creazione e disfacimento. L’occhi di Santi chiude il disco con un’ostentata allusione all’uso che i primi CCCP facevano dei rudimentali sample ritmici di musica da ballo liscio rallentati o velocizzati in guisa straniante. Il risultato finale è quello di un little beat inedito che potrebbe essere - per tornare al nome fatto poco più su - quello dei CCCP all’epoca della fine dei CCCP.

Luca Gori

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