The Doors 50 anni dopo
The Doors: “London Fog 1966”
(Rhino Records, 2 Vinili + 1 CD, 16 Dicembre 2016)
“The Doors: 50th Anniversary Deluxe Edition” (Rhino Records, 3 CD + 1 Vinile, 31 Marzo 2017)
I N T R O
“Ci convincemmo che quella volta la Musa aveva visitato lo studio di registrazione, noi eravamo il pubblico”. Così Paul Rotchild, la grigia eminenza dietro all’alchimia sonora dei Doors, ricorderà le sedute di incisione per il primo album. E chissà se anche John Densmore e Robby Krieger hanno ripensato a quella frase, a quelle notti, mentre sotto la pioggia di Venice ricevevano dalle mani del consigliere Mike Bonin un’orrenda targa d’argento per commemorare i 50 anni del gruppo, istituendo il “Doors Day”: accadeva il 4 Gennaio 2017.
London Fog 1966
Nella realtà i 50 anni e questa data, il 4 gennaio, celebrano l’uscita del primo fondamentale album del gruppo, pubblicato dall’Elektra nel 1967. E a mezzo secolo da quella pubblicazione, perché non tastare il polso a questo LP, che pare tuttora in una forma invidiabile, avendo passato in scioltezza la crisi di mezz’età del Punk, ed anzi fornendo ancora spunti di riflessione e suggestione a nuove generazioni? Che fosse tempo di celebrazioni in casa Morrison (perché il nome, su quel campanello, sarà sempre il suo...) lo avevamo capito già a dicembre quando la Rhino ha distribuito il cofanetto “London Fog” (foto a destra): una compilation delle prime incisioni note della band, datate maggio 1966, quando i ragazzi erano ospiti fissi del suddetto locale in Sunset Strip (Boulevard, Los Angeles). Una blues band alle prime armi (tanti gli standard in scaletta, da Rock Me a Baby Please Don’t Go), eterodossa e rumorosa, con una vena selvatica ed un sound che già premoniva agli abissi psicanalitici di caldo tepore psichedelico.
Una band al lavoro per trovare un’identità. Lavori che si completeranno appena qualche mese dopo, nello studio A dei Sunset Sound di L.A. Da quelle notti scaturì la magia di un disco irripetibile. Non perché magnifico o perfetto artisticamente, quanto perché “non replicabile”. I Doors seppero isolare uno stile che aveva pochi precursori e in vero nessun credibile epigono. Vive ancora oggi, e questo è il suo pregio maggiore, in meravigliosa solitudine. Nei momenti migliori fu un blues gotico maturato prodigiosamente al sole cocente della spiagge losangeline, quelle di “Un Mercoledì Da Leoni” e di “Point Break”. E come diceva la bella Tyler a Keanu Reeves nel film, “...anche tu hai l'anima del kamikaze, l'ho notato. E Bodhi lo sente lontano un miglio. Ti trascinerà ai confini e poi oltre”; quello che il folle carisma di Jim Morrison seppe fare con i suoi compagni di avventura, almeno nei primissimi anni della band.
“Weird Scenes Inside the Gold Mine”
E a proposito di confini, quel blues gotico avrebbe potuto essere scaturito anche dalla Rive gauche della Parigi occupata, o dalla Madchester dei primi anni ‘90, quanto dagli inverni della costa atlantica, ben più avvezza a perversioni di avanguardia (Andy Warhol fu estimatore di Morrison e fece di tutto per averlo nel cast di “Fuck”). Una musica che aleggia incostante tra l'urbano ed il rurale, tra il neon e il falò. A questa instabilità geografica corrisponde un'indeterminazione temporale che, pur fissando bene l'ancora nella tumultuosa fine degli anni ‘60, rende brani come Break on Through o End of the Night ancora oggi attuali, spendibili, addirittura alla moda come può esserlo “Le Coeur Volé” di Rimbaud letta su un i-Pad. Non è musica attuale, ma è fuori dalla linea temporale; risiede, magari in piccola parte, nell'inconscio di ognuno di noi, e ci rende recettivi come lo siamo ad uno sguardo voglioso e affascinante di uno sconosciuto incrociato nella hall dell’hotel. Morrison era un crooner con un certo gusto retrò, un buono scrittore (senza scomodare esagerazioni esegetiche post-mortem) e soprattutto un bel ragazzo (bianco e scolarizzato), fascinoso quanto fotogenico. Il suo ritratto da Cristo senza croce è divenuto un'icona del merchandising seconda solo al viso del “Che” stampigliato in nero su t-shirt per boys-scout che tuttora lo scambiano per Gesù.
È un dato con cui bisogna fare i conti quando si tratta di indagare il “Mito-Doors”. È vero altresì che Jim possedeva una carica melodrammatica ignota alla solare California. Ignota ai guru della Baia, da David Crosby a Jerry Garcia, quanto ad un pur maledetto conterraneo come Arthur Lee, che nella sua sbruffonaggine ha sempre rivendicato la paternità su tutta la scena rock losangelina (del tutto a torto?). Cantato da Jim Morrison, un verso come “...our love become a funeral pyre” mantiene intatta tutta la sua credibilità romantica.
The Doors: 50th Anniversary Deluxe Edition
“Is everybody in? The ceremony is about to continue…"
Se Morrison fosse morto dopo il secondo album inciso dalla band, “Strange Days” (e avrebbe ben potuto accadere) e il gruppo si fosse sciolto, i Doors sarebbero oggi il più definitivo Mito del Rock. Ma, buon per loro, la carriera continuò e, estranei ai popoli dei megaraduni, estranei a tour mondiali e stadi, scivolarono piano piano in un rock blues più di routine, che vantava però brani che nessun’altra band in circolazione poteva permettersi. Brani che hanno lasciato quella tortuosa e carbonara scia sotterranea, che da Iggy Pop (compreso quello attualissimo dell’ultimo, nero, “Post Pop Depression”) passa per Ian Curtis, arriva ad Ian Astbury (che fu la voce del controverso tour "The Doors of the 21st Century") e scende agli Scott Weiland, agli Eddie Vedder, ai Mark Lanegan. Ormai non ci si sorprende più di pescare una versione italiana della Celebration of the Lizard da parte dell’ottimo Collettivo Ginsberg, band di alt-rock romagnola. Per rispolverare il primo LP, ad ulteriore sigillo celebrativo, è prevista per il 31 marzo 2017 l’uscita di una super-deluxe-edition dell’album (foto a destra). L’ormai consueto cofanetto di lusso con 3 CD più un vinile: regalo interessante per sceicchi curiosi e giovani ereditieri perdigiorno. O per reali appassionati. Cosa ci troverete dentro? Il disco originale, il “mono mix” (che da quando gli Stones hanno ripubblicato tutto il catalogo, fa un sacco figo) ed il già noto “Live At The Matrix” del marzo 1967. Ci troverete lo sciamano posseduto dallo spirito dei nativi? O il giovane seducente che sussurra Crystal Ship all’orecchio di Pamela Courson? O ancora il discepolo blues trasfigurato di Back Door Man, o l’ubriacone di Alabama Song, o ancora l’Edipo ramingo di The End, mentre il capitano Willard si spacca la mano contro lo specchio? A voi la scelta.
Ormai il barile è così raschiato, che siamo oltre la morchia ed oltre la ruggine. La tracklist promette 9 brani, ma poi si scopre che due sono momenti in cui accordano gli strumenti. Le due uniche canzoni interessanti, a patto di essere dei grandi fan, sono versioni embrionali di “you make me real” e “strange days”. Raccapricciante la versione di “baby please don’t go” che, se l’avessi suonata io, mi sarei affrettato a farne sparire ogni traccia
ciao Nazzareno, grazie per aver raccolto il mio invito a spostare la discussione qui. Il social è una fossa di leoni, preferisco evitare. Se ti riferisci a “London Fog” naturalmente prima di tutto è l’autore di questo articolo, Giovanni Capponcelli che dovrebbe relazionarsi con te.
Io, come accanito fan della band (come te) dal 1967, ascoltato il disco, non sono molto d’accordo: London Fog va preso per quello che è, la band ai suoi inizi inizi, essenzialmente una blues band che suona nella metà anni ’60, e le versioni dei classici blues riportate non mi paiono così raccapriccianti come affermi tu. Riportano la ‘maniera’ personale di eseguire le radici del blues che i 4 avevano, che poi non piaccia è un altro discorso, ma rappresenta un ‘documento’ da questo punto di vista. Probabilmente “siamo oltre la morchia ed oltre la ruggine” come dici tu…ma essenzialmente non condivido la ‘radicalità’ del tuo giudizio. Con amicizia e stima
p.w.boffoli
dir.edit.art.distorsioni
Questi sono i nostri tempi. Ogni mese escono live d’archivio ed edizioni espanse-deluxe-extended dei grandi gruppi del passato. Di recente ho ascoltato una versione in 5 dischi (se non ricordo male…) degli Who, a breve uscirà qualcosa dei Cream… Io per primo sono convinto che siano operazioni necessarie per ridare un po’ di slancio ad un certo mercato di “musica fisica”, per rimpolpare il settore del vinile (che ormai leggiamo ovunque essere il settore trainante di tutto il comparto musica…) e perchè no, per aggiungere qualcosa di nuovo alle collezioni degli appassionati, come noi.
Su “London Fog” sono d’accordo con Pasquale, va preso per quello che è, un bootleg di una band ancora alla ricerca di sè stessa. Sulla ristampa del primo album, confermo che, a mio avviso, si tratta di “regalo interessante per sceicchi curiosi e giovani ereditieri perdigiorno. O per reali appassionati”.Ma anche forse, per chi no ha mai conosciuto il gruppo e vuole avvicinarsi ad esso in maniera completa. Ma per centrare meglio il tema del commento di Nazzareno, ovvero “il fondo del barile”, credo che sia un giudizio tutto sommato estendibile a molte recenti ristampe che aggiungono bonus. Alcuni sono interessanti, altri lo sono meno. Per tutto ciò che non è mai stato pubblicato fin’ora…c’è un motivo…
Il tema che voglio rilanciare, cominciando da qui, è che per fortuna nessuno ci spinge a comperare ed ascoltare sempre “i soliti noti”; e ho imparato col tempo a non nascondermi dietro alla giustificazione “tanto la musica vecchia è migliore”. Mentre scrivo queste righe sto ascoltando l’ultimo Lp dei Lower Plenty, “Sister Sister”: interessantissimo.
Credo che anche per questo siti come Distorsioni svolgano ancora un lavoro utile, perchè accanto a comunque doverosi (credo) articoli su gruppi come i Doors c’è tutto uno spaccato di quanto (ed è tanto) che bolle ancora in pentola.
Un saluto a tutti!
Gio
Si, mi riferivo a London’s fog. Ho altri bootleg o uscite viali postume che sono dei documenti interessanti. In Londo’ Dog go trovato interessanti,per fan storici, solo i due che ho citato. Ho definito raccapricciante soltanto Baby pleas don’t go. Per sapere come era la band all’ inizio, trovo più interessante e dignitoso il demo che precede il primo disco (non ricordo con quale titolo sia uscito)