Chocolate Watchband Garage e celluloide
I N T R O
Vero o falso? Genuino o artefatto? Musica scritta e suonata dai ragazzi raffigurati in copertina, o pesantemente manipolata in studio, anche a loro insaputa? La storia del pop e del rock è costellata, sin dai suoi albori, di un'infinità di casi in cui il confine è alquanto sfumato. Non sempre la storia ha infatti dato ragione a quei musicisti frustrati dalle imposizioni di produttori e manager - brutti e cattivi - e costretti a far buon viso a cattivo gioco, a fronte magari di quel po' di successo comunque raggiunto (o spesso, nella speranza di raggiungerlo). Anche quando è stata concessa loro l’agognata libertà artistica, non sempre il risultato è stato quello sperato, sia in termini artistici, che di successo. E’ un po’ il caso della Chocolate Watchband, band di culto del garage-rock americano della seconda metà dei '60, da San Josè, California, giacché ha lasciato un segno nella storia del rock essenzialmente per due album a loro nome, nei quali non solo i ragazzi in questione, in alcuni brani, si vedevano sostituiti (tracce vocali comprese) da più o meno oscuri session-men di studio, ma addirittura in altri erano del tutto estranei. Una brutta storia? Niente affatto.
COME NASCE UNA GARAGE-BAND
La band esisteva, e prese le mosse secondo i canoni di qualsiasi garage-band che si rispetti. Niente selezione di agenzie di casting, niente operazioni a tavolino. Siamo a pochi km a sud di San Francisco, in giorni in cui i teenager americani, folgorati dalla comparsa sulle scene dei protagonisti della british-invasion Rolling Stones, Kinks, Yardbirds, Animals, Them, imbracciano degli strumenti e cercano di imitarne le gesta. Non è sempre il grande successo quello che si cerca, in fondo formare una band è anche un modo per divertirsi e perché no, per attirare anche l'attenzione delle ragazze. La scena pullula letteralmente di piccoli locali disposti a mandare a suonare sui palchi anche gruppi di ragazzi alle prime armi e le occasioni non mancano. Il nucleo della prima delle tante, instabili formazioni della Chocolate Watchband, si forma nel 1965 al Foothill Collage intorno al tastierista Ned Torney e al chitarrista Mark Loomis. Ai due si aggiungono degli amici, ancor più giovani, di Torney (amici del fratello minore) e un cantante emergente, uno di quelli che appunto era in grado di attirare le ragazze, certo Danny Phay (un nome che ritroveremo più avanti). Dopo i primi concerti, appare chiaro come alla batteria serva qualcuno più esperto. Si pensa così a Gary Andrijasevitch, di poco più grande degli altri ma già più rodato, avendo militato in alcune formazioni di stampo jazz. Quanto al nome, l'idea viene fuori durante una discussione di Torney con alcuni suoi amici, cercando qualcosa che possa ammiccare, ma in maniera più indolore possibile (un po' come in certi testi dei Beatles del periodo), a un immaginario anche vagamente "psichedelico". Da qui l'idea del riferimento al cioccolato, associato a quello innocuo, per quanto bizzarro, del cinturino dell'orologio (letteralmente appunto, "watchband").
Si intensifica l'attività dal vivo e nell'autunno di quell'anno i ragazzi registrano un demo, con cover piuttosto anonime dei vari Everly Brothers e Gerry & The Peacemakers, che rimarranno a lungo inedite. Pochi mesi dopo Torney cede alle lusinghe di un'altra formazione (The Topsiders) che rimarrà sconosciuta, anche se dalle loro fila i nostri acquisiranno il chitarrista storico Sean Tolby. Anche Phay lascia da lì a poco per formare gli Otherside, un altro progetto musicale rivelatosi inconsistente, con un solo singolo all'attivo. Il più motivato dei membri rimanenti, Mark Loomis, mette così in stand-by la Chocolate Watchband e suona per un po', ma senza grosse soddisfazioni, con gli Shandels, un gruppo che garantisce ingaggi frequenti, ma che è rivolto a un’audience di solo ragazzini. Stancatosi presto di quella situazione, Loomis convince il bassista degli Shandels (Bill “Flo” Flores) a richiamare il batterista Andrijesich e rimettere in pista la Chocolate Watchband. Alla voce viene reclutato Dave Aguilar, già attivo in garage-band minori e dotato di una forte presenza scenica. Si forma così la line-up con cui il gruppo passerà alla storia.
L'INCONTRO CON ED COBB
La nuova e più stabile formazione si fa presto notare come uno dei migliori live-act della Bay Area, così che viene scritturata dall'impresario Ron Roupe, che la affida alle cure dell'intraprendente Ed Cobb, il produttore a capo della Green Grass Productions e che - bene o male - segnerà la loro carriera. Cobb ha solo qualche anno in più degli altri, ma è stato uno dei Four Preps, un gruppo vocale di un certo successo, oltre che autore di alcuni brani assai redditizi, Every Little Bit Hurts su tutti: un brano portato in classifica da Brenda Halloway e inciso anche da Aretha Franklin e dallo Spencer Davis Group di Steve Winwood. La pensione, per la verità, gliela garantirà un altro pezzo, Tainted Love, che se nella versione originale di Gloria Jones del 1964 ottiene solo un discreto riscontro, anni dopo diventerà un classico grazie alla versione dei Soft Cell. Ma quella, davvero, è un'altra storia. Nella primavera del 1966 Cobb porta la Chocolate Watchband a Los Angeles e insieme al proprio team, tra cui il socio Harris, l'ingegnere del suono Polydor, la coppia di autori Bennet e McElroy, dà il via alle sessioni di registrazione negli studi della American Recordings. Ed Cobb e gli altri della Green Grass vogliono sperimentare soluzioni nuove, cercando di sfruttare tutte le possibilità offerte dalla tecnologia. I ragazzi sono invece alla prima esperienza in un uno studio professionale, non hanno un vero autore tra le proprie fila e preferirebbero concentrarsi su sonorità più immediate di stampo rhythm'n'blues, piuttosto che perdere lunghe ore a riprovare gli stessi passaggi, per soddisfare le manie di perfezionismo di Cobb. Per non bruciarsi la grande occasione di sfondare, si mettono comunque a disposizione del team, che interviene pesantemente e in maniera alquanto "creativa", spostando strumenti e microfoni, manipolando gli effetti e i nastri, con risultati perfettamente in linea con la nascente psichedelia. Il produttore ha già saggiato le proprie idee con un'altra band di suoi protetti: gli Standells, che al tempo hanno già piazzato in classifica la loro Dirty Water, un instant-classic del garage-rock, per cui si cerca di indirizzare i ragazzi su un binario non dissimile.
LE SESSIONS DI REGISTRAZIONE DELLA FORMAZIONE ORIGINALE
Accade tutto tra il 1966 e i primi mesi dell'anno successivo. Dato che le poche canzoni originali del gruppo non sono altro che degli sviluppi di jam sessions (No Way Out, che comunque viene accreditata al produttore, Gone and Passes By, basata su un riff alla Bo Diddley e poco altro), Cobb spinge per far aggiungere al repertorio di classici r'n'b che i ragazzi già suonano dal vivo, alcuni brani scritti da lui o dal suo team di autori, andando anche a pescare tra pezzi più oscuri del periodo, che spera di portare al successo con la Chocolate Watchband. E' un merito anche di Cobb se le loro versioni di Let's Talk About Girls, In The Past e di Ain't No Miracle Worker rimarranno più celebri di quelle originali (a eccezione dell'ultima, particolarmente nota però qui da noi soprattutto per il rifacimento dei Corvi, come Ragazzo di Strada). Negli stessi giorni la Chocolate Watchband sfrutta la proposta di partecipare alla colonna sonora del film “Wild Angels”; poichè i diritti appartengono alla casa produttrice del duo Hanna/Barbera (quelli dei cartoons), la band deve usare un nome fittizio: The Hogs. I pezzi scelti (foto singolo a sinistra), entrambi strumentali, sono Blues Theme, una cover di di Dave Allen & The Arrows e Loose Lip Sync Ship, una stramba improvvisazione psichedelica, che anche a causa del mistero che per anni ha coperto la storia dei nostri, a lungo si è creduto - a torto - essere il frutto di una collaborazione con Frank Zappa, nascosto sotto il moniker “The Phantom”. .
In realtà i primi risultati del duro lavoro in studio sarebbero i due brani che finiscono sul primo singolo a nome Chocolate Watchband: Sweet Young Thing (a destra), un ottimo pezzo originale - scritto dal cannibale Ed Cobb - che esalta le doti vocali del nuovo cantante Dave Aguilar, molto simile a Mick Jagger e che presenta quel sound ruvido e essenziale, ma tutto sommato accattivante per i gusti dei giovani americani del tempo. Sull'altro lato viene dato spazio a una cover di It's All Over Now Baby Blue (intitolata semplicemente Baby Blue), ispirata in maniera pesante all’allora recente rifacimento dei Them di Van Morrison. Le vendite del primo 45 giri licenziato, come il successivo, dalla Uptown, prima che la band passi in via definitiva alla Tower, sono incoraggianti solo in California, ma sono a breve pronti altri due pezzi da mandare alle stampe. Il secondo singolo vede da un lato la stonesiana Misty Lane e dall'altro la ballata She Weaves A Tender Trap, che contribuisce a rendere tesi i rapporti già precari tra i ragazzi della band e quelli del team di produzione. Si tratta di un pezzo che i musicisti ritengono troppo zuccheroso e poco nelle loro corde, per cui le sedute di registrazione, secondo i dettami di Ed Cobb, vengono vissute come una vera e propria imposizione. Anche stavolta le vendite non sono eccezionali, anche se entrambi i brani citati verranno ricordati, anni dopo, come piccoli classici del genere. Dal vivo la band propone il proprio grezzo rhythm’n’blues e trovandosi a dividere i palchi con le prime formazioni della controcultura hippie della Bay Area, come i Grateful Dead, concede alla nascente scena un tocco di psichedelia sviluppando un affascinante light show con diapositive dall’alto richiamo lisergico. Pur non avendo alle spalle una major, al gruppo viene assicurata la possibilità di partecipare a due filmetti che cercano, con ingenuità, di rappresentare la scena giovanile della California di quel periodo. In “The Love-Ins” i nostri eseguono, pur se ripresi in lontananza, Are You Gonna Be There?, uno dei loro brani migliori e meno artefatti. Ancor più grezzo e diretto è il suono di Sitting There Standing e I Don't Need Your Loving, i pezzi che la Chocolate Watchband esegue dal vivo in una scena all'interno di un locale nel film “Riot On Sunset Strip”, la cui colonna sonora vede tra i protagonisti anche i “cugini” di scuderia Standells.
LA STRANA STORIA DEI PRIMI DUE ALBUM: "NO WAY OUT" E "THE INNER MYSTIQUE"
Resosi conto che i musicisti del gruppo non sono i più adatti per assecondare le sue idee, Ed Cobb mette insieme, in maniera più che discutibile, una mezz'ora scarsa di musica che va a formare l'album di debutto della Chocolate Watchband: “No Way Out”. Solo in alcune tracce è possibile ascoltare la formazione al completo, senza interventi più o meno pesanti del produttore. La voce di Don Bennet, uno dei due autori di fiducia di Ed Cobb, si rivela curiosamente molto simile a quella di Dave Aguilar, per cui più volte il produttore cede alla tentazione di sostituirlo al cantante titolare (accade ad esempio, senza che se ne accorgano in molti, in The Midnight Hour e in Let's Talk About Girls). Al di là della mano pesante del produttore il risultato è in ogni caso uno dei migliori album di garage psichedelico. Expo 2000 (attribuita alla penna dell'ingegnere del suono Richie Podolor) è un gioiellino di produzione, a prescindere da chi ci possa aver suonato o cantato e rimane un classico minore del rock americano anni '60, che verrà ripresa anni dopo anche nel disco di debutto dei Chesterfield Kings. La cover di Come On di Chuck Berry è così riuscita che pare che i Rolling Stones, che l'avevano incisa anni prima, abbiano cercato di bloccarne la pubblicazione. D'altro canto alcuni brani sono vere e proprie creature di Cobb, come Gossamer Wings, che altro non è che la già edita traccia strumentale Loose Lip Sync Ship, con l'aggiunta del cantato del solito Bennet. La band, naturalmente, è all'oscuro di tutto. Per quanto i risultati migliori siano quelli dove il suono è meno artefatto, senza il lavoro invadente di Ed Cobb oggi però forse non ricorderemmo questa band, si sarebbe potuta perdere tra le tante garage band, dal suono grintoso e genuino, ma con poca personalità e un repertorio anonimo, fiorite e presto appassite in quegli intensissimi mesi.
Anche la copertina di “No Way Out” è una gemma. Desta curiosità, in particolare, l'interminabile e apparentemente astrusa lista di nomi scritti sul retro-copertina. A distanza di anni scopriremo essersi trattato solo di un tentativo di accattivarsi le simpatie di alcuni deejays, i cui nomi vengono inseriti in mezzo ai tanti (del tutto a caso, tra cui… Aldo Moro!), sperando di ottenere così maggiori passaggi radiofonici. In realtà il disco non viene distribuito né promozionato granché bene e si perde tra le tante uscite del periodo. L'album esce nell'autunno del 1967, quando la formazione, a causa della frustrazione provocata dai rapporti con il team di produzione, si è già sfaldata. Il disilluso Aguilar si ritira dalle scene e torna a studiare con profitto astronomia, diventando anni dopo uno stimato docente universitario. Loomis se ne va per fondare, insieme a Andrijasevich, i Tingle Guild, un gruppo folk-rock che si rivela un flop totale. Rimangono in pista solo Tolby e Flores, che aggregano altri musicisti, tra cui il chitarrista Tim Abbott (un altro nome che rispunterà poi dal nulla anni dopo) e il cantante Chris Finders, entrambi prelevati dalla sconosciuta San Francisco Bay Blues Band. Questa dimenticata line-up continua a suonare in California per alcuni mesi, ma non ha niente a che vedere con quanto sta nel frattempo combinando il solito Ed Cobb, che nella primavera del 1968 dà alle stampe “The Inner Mystique”, un secondo album a nome Chocolate Watchband!
Il produttore ha così poche tracce da cui pescare, tra quelle registrate durante le stesse sessioni dell'anno precedente, che gli interventi posticci sono stavolta ancora più invasivi. La prima facciata del disco addirittura non vede alcun membro della vera Chocolate Watchband in azione. Oltre a due brani strumentali creati in studio insieme con i turnisti e gli altri del team, neppure la pur ottima versione di In The Past è frutto del lavoro del gruppo, come potrebbe sembrare. Cobb sfrutta infatti dei nastri rimasti inediti di un'altra band, ignara del tutto: gli Yo-Yoz. Lo stesso accade per la seconda facciata, in cui viene utilizzata una registrazione degli altrettanto sconosciuti Inmates (Hot Dusty Roads, già dei Buffalo Springfield). Per completare la scarna scaletta, si recupera la versione di It's All Over Now Baby Blue uscita sul primo singolo e si aggiungono effetti, percussioni e tastiere. Dal mazzo di brani avanzati dalle registrazioni completate dal gruppo vero e proprio, riemergono le ottime cover di I'm Not Like Everybody Else (una b-sides dei Kinks), in cui Aguilar sfodera una delle sue migliori interpretazioni vocali in assoluto e quella di Ain't No Miracle Worker dei Brogues. Il risultato complessivo, con il suo bizzarro equilibrio tra psichedelia sognante prevalentemente strumentale e puro garage-rock, anche stavolta non sarebbe affatto male e anzi questo album ha malgrado tutto i suoi estimatori, che lo preferiscono anche al primo. Il successo anche stavolta però, non arriva. A metà del 1968 anche la rinnovata formazione che suona a nome Chocolate Watchband getta la spugna, senza aver registrato alcunché.
UN PASSO INDIETRO: IL TERZO INSPERATO DISCO E LO SCIOGLIMENTO
Nel 1969, quando ognuno dei protagonisti di una storia già turbolenta storia è dedito a altro, accade l'impensabile. In fin dei conti la band ha firmato un contratto per tre dischi, per cui, anche se i rapporti personali non sono certo rimasti idilliaci, Ed Cobb non ha niente di meglio che telefonare ai ragazzi per sapere se hanno materiale per un terzo disco. Loomis, Flores, Tolby e Andrijasevich decidono quindi di provarci, ancora una volta. E stavolta si chiamano a raccolta il cantante dei giorni del collage Danny Phay. Anche il tastierista dell'epoca Ned Torney, partecipa alle sessions. Non a caso il nuovo disco è intitolato “One Step Beyond”. A bene vedere però, nel volgere di quattro, cinque anni, è cambiato il mondo. Il garage-rock minimale di pochi mesi prima non è più proponibile, così che il sound si fa molto più acido che in passato, con rimandi a certe cose dei vari Jefferson Airplane, Quicksilver Messenger Service o dei Moby Grape, piuttosto che ai primi Rolling Stones. Il nome dei Moby Grape non è casuale, dato che alle registrazioni partecipa fattivamente anche il chitarrista di quella band storica, Jerry Miller. E' paradossalmente il primo album nel quale la Chocolate Watchband viene lasciata libera di scrivere e registrare, in piena autonomia, la propria musica. Il songwriting non è però mai stato il loro forte, così che, non potendo contare neppure sul contributo del dimissionario cantante Dave Aguilar, dei nuovi brani si occupa più che altro il batterista Gary Andrijasevich, che ha imparato da poco a suonare anche la chitarra. Il disco ha i suoi momenti, per quanto non si tratti certo di un capolavoro. Quello che sconcerta è che proprio stavolta, in cui la band ha carta bianca, emerga una netta differenza con il sound per cui la Chocolate Watchband, bene o male, si era caratterizzata. “One Step Beyond” rimane così il disco meno rappresentativo del gruppo. Il flebile legame con il passato viene garantito dalla sola resa di I Don't Need No Doctor di Ray Charles, un classico del r'n'b' che però qui è resa in chiave hard-psych. Una curiosità: a metà di And She's Lonely spunta un arpeggio di chitarra che verrà ricordato come uno dei punti di ispirazione – invero non il solo - per la Stairway To Heaven dei Led Zeppelin.
DALLO SCIOGLIMENTO AI GIORNI NOSTRI
Anche le vendite del terzo album sono pressoché nulle e la formazione, nel pur ammirevole tentativo di recuperare l'entusiasmo dei primi tempi, perde al contrario ogni motivazione. E' il preludio a uno scioglimento che, questa volta, pare essere davvero quello definitivo. Alle soglie del 1970 i vari componenti del gruppo fanno perdere le proprie tracce, impegnati ognuno in attività lontane dallo show-business. Il nome viene ripescato dall'oblio che nei primi anni del nuovo decennio coinvolge un po' tutto il garage-rock, solo grazie all'inclusione di Let's Talk About Girls nella doppia seminale raccolta “Nuggets", compilata nel 1972 da Lenny Kaye. Quando nella metà degli anni '80 cresce l'attenzione verso le gesta dei primi esponenti del garage-rock americano, sulla scia della nuova generazione che fa capo ai vari Fuzztones, Miracle Workers o Chesterfield Kings, intorno alla Chocolate Watchband si scopre essersi formato un piccolo culto, alimentato anche dalle scarse notizie circolanti sul gruppo e dalle leggende che si creano intorno al suono, grezzo e proto-punk che la band sarebbe stata capace di creare dal vivo, a discapito di quello più addomesticato, tramandato dai dischi ufficiali. Le loro canzoni rispuntano su vari volumi di compilation quali "High In The Mid-Sixties", "Pebbles" o la stessa serie "Nuggets" della Rhino. Quest'ultimo brand viene poi sfruttato per il box quadruplo del 2000, che ha il compito di allargare l'orizzonte della vecchia compilation di Lenny Kaye, includendo altri svariati brani, tra i migliori, della band. Bisognerà attendere però la seconda metà dei 90's, affinché la formazione riprenda la propria attività, prima solo per qualche concerto, poi anche per registrare del nuovo materiale.
La rinnovata line-up si forma intorno a tre dei membri della formazione più nota: Aguilar, Flores e Andrijasevich, cui si aggiungono Michael Reese, un chitarrista di estrazione hard-rock fusion attivo sin dagli anni '80 e l'inaspettato ritorno di Tim Abbott, che come scritto sopra, è stato già nei ranghi, per alcuni mesi, nel 1967. Di fatto Abbott prende il posto di Mark Loomis, che per mesi gravita intorno al gruppo incerto sul da farsi, per poi mollare del tutto. Verrà a mancare nel 2014. Se dal vivo il ritorno del gruppo suscita entusiasmi negli appassionati, mostrando finalmente di che pasta gli ex-ragazzi sono fatti, il risultato delle nuove registrazioni lascia inevitabilmente più tiepidi. La band non ha un contratto e senza alcuna etichetta pubblica in proprio "Get Away" (nella foto a sinistra). Si cerca di non insistere troppo con l'effetto nostalgia, per cui al di là di una foto d'annata in b/n esibita sul retro-copertina, tutto cerca di apparire come nuovo: lo stesso nome del gruppo viene condensato in un più asciutto e moderno acronimo (CWB), mentre nessuna cover compare in scaletta, che anzi presenta tutte canzoni scritte per l'occasione, principalmente dal pugno del cantante Aguilar, di frequente aiutato dal nuovo chitarrista Reese. Ne esce un disco anche non disprezzabile, abbastanza ben cantato e suonato, che ancora una volta però, complice anche la scarsissima diffusione, non centra il bersaglio.
E in effetti, chi può essere veramente interessato al generico, medio, classic-rock, offerto da questi ultra-cinquantenni? Se ne devono accorgere anche gli stessi protagonisti, dato che nel 2001 viene pubblicato "At The Love-In Live! In Person at Cavestomp!", un valido live registrato un paio di anni prima, che è esattamente l'opposto dell’ultima prova in studio. L'ingannevole copertina presenta infatti la band nello splendore dei giorni migliori e il programma presenta solo i classici, da Are You Gonna Be There a Misty Lane, fino a una She Weaves A Tender Trap che si spoglia degli orpelli dell'ormai vecchissima versione in studio. E' anche l'occasione per il front man Dave Aguilar di riappropriarsi di quei brani, pur rimasti tra i più amati, ma che al tempo vennero pubblicati senza la sua voce. Nessun brano veramente nuovo è invece presente, se si escludono nuove cover di vecchi pezzi altrui (Movin' On e I Just Want To Make Love To You). Dando finalmente al proprio pubblico, quello che si aspetta da loro, il disco stavolta non rimane nell'ombra e pur in un contesto indubbiamente di nicchia, si torna a parlare della Chocolate Watchband. In quegli anni la band si esibisce dal vivo in più occasioni, sia a fianco di altre vecchie glorie come gli Electric Prunes, sia come supporter di Little Steven (in quegli anni molto attivo nel recupero di certe sonorità anni '60). E' di questo periodo anche la prima (e a lungo unica, fino all’esibizione del 2018 al Festival Beat di Salsomaggiore) data italiana, in occasione del romano Misty Lane Fest EXPO 2000 di Massimo del Pozzo. Nonostante i risultati tutto sommato incoraggianti, pur in un ambito di stretto revival '60, i nostri non trovano lo slancio per riavviare veramente la propria carriera, così che la formazione torna in un letargo, sporadicamente interrotto da qualche esibizione live, concentrata più che altro nella Bay Area e dalle voci di un imminente ritorno in studio. Invece di un disco di canzoni nuove, la Chocolate Watchband riemerge invece solo nel 2012 con "Revolution Revisited". Anche in questo caso la band va sul sicuro, reincidendo con discreti risultati ma senza sorprese i soliti vecchi classici degli anni sessanta. E' purtroppo l'ultimo disco in cui compare Bill "Flo" Flores, deceduto lo scorso anno, sostituito dal fan e storico semi-ufficiale del gruppo, Alec Palao. Nel frattempo anche il più giovane chitarrista ritmico Derek Sees sostituisce Reeves.
Passa però oltre un lustro prima che riaffiorino notizie fresche dal mondo della Chocolate Watchband. Nell'estate del 2018 viene infatti pubblicato un po' a sorpresa un brano nuovo di zecca: Judgement Day. E' il preludio ad una nuova rentrée della band, che infatti annuncia per il febbraio 2019 l'uscita per la Dirty Water Records di un nuovo album. “This Is My Voice" (foto a fianco), appena il quinto disco di brani inediti, in oltre mezzo secolo di altalenanti vicende. Stavolta il repertorio è diviso quasi a metà tra brani veramente nuovi e i prevedibili tuffi nel passato, che in fondo sono il terreno sul quale un po' tutti gli appassionati li aspettano al varco. Il materiale inedito colpisce più che per l'innegabile grinta degli ormai ex-ragazzi, per le tematiche affrontate. Ormai non si parla più di ragazze e di insoddisfazione giovanile come ai bei tempi, ma dei mali del mondo e del declino della società occidentale. La stessa Judgement Day descrive la condizione dell'America all'indomani del crollo dei mercati del 2008. Tra le cover presenti incuriosisce la presenza di Trouble Every Day (proprio lui, Frank Zappa) e della Desolation Row di Bob Dylan (a mezzo secolo da Baby Blue). In ricordo degli anni d'oro si rispolverano anche il classico Can't Seems To Make you Mine dei Seeds, invitandone il tastierista Darryl Hopper e la Talk Talk dei Music Machine. Appare evidente che (nemmeno) questa volta un loro disco sarà capace di cambiare il mondo, ma non si può non accogliere con favore il ritorno sulle scene di una delle band più leggendarie del garage-rock.
ANTOLOGIE E RISTAMPE
Al di là delle compilation sopra citate, per ascoltare un intero disco della Chocolate Watchband, ma senza volersi procurare un originale a peso d'oro, le uniche possibilità sono rimaste, a lungo, quelle di accontentarsi di una delle antologie pubblicate in vinile nei primi anni '80. L'esauriente "Best Of" (1983) è stata la prima, a opera della solita Rhino. Sono seguite poi "Let's Talk About Girls” (per la francese EVA) e "Forty Four" (su Big Beat e che curiosamente riprende il titolo provvisorio del terzo album), giusto per citare le principali. Le scalette sono tutte molto simili e non è difficile sbagliare scegliendo tra i brani dei pochi singoli usciti e pescando tra i migliori brani dei primi due album, con il terzo che viene sistematicamente trascurato. Per avere le ristampe dei singoli LP bisogna aspettare la metà del decennio successivo. Prima la stessa Big Beat pubblica un CD con i primi due album, poi la Sundazed ripubblica separatamente l'intero catalogo, aggiungendo in ciascun disco, come bonus tracks, tutti i singoli usciti all'epoca e qualche succosa traccia inedita. Il gran merito di queste ristampe sta anche nei corposi libretti, completi di note (scritte dallo specialista e poi membro del gruppo Alec Palao), che ripercorrono la breve storia della band, facendo chiarezza per la prima volta su "chi-suonava-cosa" nei vari dischi. La lodevole etichetta ha poi ristampato gli stessi titoli anche in vinile, permettendo di apprezzare anche le vesti grafiche del tempo (invero un po' mortificate dai CD della Sundazed).
La Big Beat è anche responsabile della pubblicazione di "Melts In Your Brain... Not On Your Wirst!", che raccoglie in due dischetti tutto quello che la band ha registrato negli anni '60. Sono compresi tutti i brani dei tre album ufficiali, tutte le facciate di tutti i singoli, nonché qualche altra rarità tra cui il demo della prima formazione, sopra ricordato. Il solito Alec Palao scrive le note del libretto, ancora più minuziose di quelle che accompagnano le ristampe Sundazed. Stavolta si sceglie di dividere il materiale in due CD, con le registrazioni della "vera" Chocolate Watchband sul primo e tutte le altre, più o meno artefatte e manipolate dalla produzione, sul secondo, indicando però stavolta a chiare lettere i nomi degli effettivi interpreti. Un'operazione magari doverosa dal punto di vista filologico, ma che rende l'ascolto un po' tortuoso, per chi si era comunque abituato alle sequenze dei brani, così come erano in origine. Non esistono registrazioni dal vivo del periodo d'oro della band. Sul web si trovano le solite esibizioni estratte dal film “Riot On Sunset Strip”. L'unico documento live esistente è il succitato "At The Love In Live! (In Person at Cavestomp)", risalente però a una reunion. Le stesse registrazioni sono presenti anche in uno dei CD del doppio "Riot On Sunset Strip Revisited!", condiviso con coevo materiale degli Standells. Il titolo ricorda la vecchia colonna sonora, che vedeva entrambi i nomi protagonisti e l'artwork, anche in questo caso, non fa niente per scoraggiare l'idea (sbagliata!) che si tratti di registrazioni d'annata. Nessuno dei membri del gruppo storico ha avuto una carriera solista o ha comunque fatto parte di altre formazioni di rilievo. Al di là di qualche sporadica e recente apparizione in dischi altrui dei vari membri, si conta solo un anonimo disco rock-blues del chitarrista Tim Abbott, risalente al 1980. Nel 2015 l'americana Purple Pyramid pubblica l'esauriente compilation "I'm Not Like Everybody Else", e nella line up appare il chitarrista Alby Cozzette. La vita del poliedrico produttore Ed Cobb meriterebbe infine una pagina a parte, essendo stato l’unico, tra i protagonisti di questa vicenda, ad aver raggiunto risultati duraturi e redditizi nel mondo dello spettacolo. Di lui, deceduto nel 1999, si ricorderà senza rancore anche la Chocolate Watchband, con una dedica inserita nel booklet del succitato CD live “At The Love In Live!”.
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