Lags PILOT
Esordio col botto per la band romana Lags, che con il loro "Pilot", uscito nel 2015. s’impongono come una delle realtà più convincenti del panorama post hardcore italiano. Un album crudo, a tratti violento, in cui si ascolta un suono aggressivo e diretto, fatto di batteria incalzante, basso travolgente e potenti chitarre distorte. Un sound che emerge in maniera omogenea, senza però dare l’impressione di essere monotono, ma piuttosto ancorato all’attitudine rabbiosa della band, smorzata dalla voce avvolgente del cantante Antonio Canestri.
Il giudizio, nell’insieme, è più che positivo, soprattutto alla luce della profondità dei testi (tutti in un fluente inglese, qualità non comune tra le band del Bel Paese) scritti dall’ottimo Luca de Santis, autore della quasi totalità delle liriche contenute in Pilot. Il disco, infatti, tratta con viscerale crudeltà la realtà dei "ragazzi" (!) tra i 25 e i 30 anni (l’età dei membri del gruppo) fatta di contraddizioni sociali, assenza di speranza e precarietà esistenziale. Sentimenti, amplificati in una realtà paralizzata come quella della Capitale, espressi molto bene in War Was Over, Turbin e Solid Gold. L’emblema della complessità stilistica dell’album, però, è l’ottima Fear, Control, Mothers, in cui la band romana canta il corto circuito che vive la società dei consumi, ferma a una visione superficiale della realtà e bloccata dalla paura indotta dalla politica cieca nei confronti del diverso. Un invito a reagire e a far esplodere la rabbia repressa raccolto nella ben riuscita The Flight of Flies, che si riaggancia alla traccia d’apertura A Push and a Rush, una denuncia della pochezza della gioventù contemporanea.
Apprezzabili anche le tre tracce composte da Canestri (The Stream, Family Man e Behind the Clouds), in cui la voce dei Lags scrive di suo pugno il malessere vissuto da un trentenne che percepisce l’immobilismo contemporaneo, fatto di valori posticci come la stabilità familiare o l’apparenza esteriore. Tutti temi ribaditi e concentrati in Queen Bee, l’unica traccia scritta da Daniele De Carli. Il disco si chiude, però, con un accenno di luce in fondo al tunnel: l’ultimo brano (Dreaming Babylon) dischiude la dimensione utopica (a tratti onirica) in cui si lancia la band per trovare appiglio in un contesto dal quale filtrano solo insoddisfazione e frustrazione nei confronti di una società che non offre sbocchi né opportunità. Senza dubbio uno dei migliori lavori che la musica “indipendente” italiana abbia prodotto nell’ultimo quinquennio.
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