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31 Gennaio 2018 ,

Wilderness LIGHT AFTER THE FIRST DIVE

14 luglio 2017 - Autoproduzione

Istantanee di vita: albe e tramonti, cieli tersi e nuvolosi, gente che cammina sulla strada o sulla sabbia, scritte sui muri, jeans e sigarette… Tutto questo troviamo nel collage di 20 foto che formano l’originale copertina di questa prima autoproduzione completa dei Wilderness, se escludiamo un breve demo del 2016. E istantanee di vita, in fondo, sono anche le dieci tracce che costituiscono l’album e che raccontano storie capaci di spaziare dai Fiordi a San Francisco, ricordando la gioventù o rievocando quei momenti in cui ci si ritrova a ballare da soli alle cinque del mattino, oppure osservando le luci rosse del tardo pomeriggio o i tanti colori che si stemperano nel grigio.

 

Il quartetto di Frosinone, ben coeso pur dopo meno di quattro anni di attività, ci racconta tutte queste storie veicolandole attraverso una new-wave scarna, fatta di suoni asciutti e di poderoso drumming tribale. Formazione rigorosamente a due chitarre, rese nasali dal flanger, spaziali dal chorus e brillanti dai riverberi, proprio come si usava negli anni d’oro di gruppi come Echo & the Bunnymen, The Sound, Joy Division, the Church. E, naturalmente, voce effettata e basso in bella evidenza. Un disco dalle atmosfere affascinanti e un pizzico melanconiche, che profumano di nostalgia, che a tratti sanno un po’ di antico (volontariamente) e che regalano qua e là qualche picco di sincera commozione. Quando il suono di una band è per scelta diretto, lineare, senza orpelli, senza ricami, senza sovrarrangiamenti, l’ingrediente principe può essere solo e soltanto uno: il songwriting. E i quattro laziali dimostrano di saper scrivere canzoni. Che poi è il requisito principale che si richiede a una band. Troppo spesso presunti musicisti cercano di eludere questo aspetto primario, nascondendosi dietro mille trucchetti. I Wilderness no, vanno dritti al punto. E centrano il bersaglio.

Alberto Sgarlato

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