Luc Orient LA VIE A GRANDE VITESSE
Nel panorama italiano dei primissimi anni ‘80 - in piena esplosione new wave - i Luc Orient hanno rappresentato indiscutibilmente un tocco di assoluta originalità. Prendendo il nome da un personaggio fantascientifico dei fumetti, apparso in Italia solo per pochi anni, mal diffuso e presto dimenticato, la band di Trieste condivide non poche peculiarità con l’eroe ideato dal belga Michel Regnier. Luc Orient come sospensione ideale tra passato e futuro. Precursori dal sapore retrò, elegantemente defilati dal grande flusso delle mode imperanti ma contraddistinti da personalità forti, creatività e una musica dal tocco bizzarro e ammaliante. Piero Pieri e Rrock Pennushi hanno attraversato numerosi lustri nell’ombra ma sono rimasti incisi nella memoria di coloro che li avevano apprezzati e soprattutto negli annali delle cose qualitativamente da ricordare fatte in Italia in un periodo tutto sommato superficiale, abbondante ma scarsamente denso. Lo stile rimane intatto in tutte le sfumature, raggiungendo maggiore corposità a dispetto della perdita di mordente che caratterizza la maggior parte delle re-entry a sorpresa.
Sospeso tra ingenuità naif e stuzzicanti ricercatezze dadaiste, disincantato e sofisticato, esotico e immediato, leggero e un po’ impegnato, mai banale e sempre, ma proprio sempre, gradevole per tutti i palati. Se vogliamo però, in questi anni silenti, la maturità ha sortito gli effetti della decantazione perfetta per il distillato Luc Orient. Dopo aver dato vita ad un’etichetta tutta loro, tornano in auge con “La vie à grande Vitesse”, un'oasi purificante per tutti coloro che vengono ingoiati dai ritmi vorticosi e stranianti dell’epoca del caos. In questa oasi è quasi possibile gettare uno sguardo lucido e consapevole a ciò che succede oltre e recuperare - nella propria parte più incontaminata - le forze e le energie per vivere il distacco con la maggiore diplomazia possibile. Capaci di fondere con disinvoltura diverse influenze etniche come solo i Talking Heads hanno saputo fare nell'ambito della nuova cultura pop. Le 'teste danzanti' nostrane stemperano ogni pretenziosità in contagiosi ritmi funky, morbidi e scanzonati, cadenze jazz fusion restituite dai fiati e dal tocco ben distribuito del sax tenore. Le atmosfere vengono rese eteree e liquide dalle pennellate di elettronica e dall’armonia delle trame acustiche. Non vi è alcuna traccia di nostalgia né voglia di prendersi troppo sul serio in questo lavoro ma una vena d’ispirazione brillante e una curiosità creativa e sperimentale fresca, entusiasta e appassionata. La voglia di fare arte per puro piacere, la voglia di far incontrare cultura e popolarità come sublimazione estetica dell’evasione.
Oui Misses Bloom tra ritmi latineggianti e sinuosità di gusto art decò nell’impiego dei termini francesi. Amore, nessun dolore, così come Champagne sono testi metaforici che prendono a pretesto la bizzarra lunaticità dell'amore per tratteggiare l'elegia rocambolesca delle vicissitudini esistenziali. Acredine e consapevolezza lucidissimi e mai distaccati che trovano maggior evidenza nel testo di Mi Dva, forte della poetica eterogenea e introspettiva mitteleuropea. La vie à grande vitesse baroccheggia tra fiati e percussioni malandrine ed il groove si fa incalzante e spumeggiante ne L'infanzia di Ivan, un inno all'istinto, alla bellezza e alla spontaneità. Nel complesso otto pezzi di superba e prestigiosa scrittura ammortizzati magistralmente dalla commistione fluida degli strumenti e degli arrangiamenti capaci di restituirci il carisma e la verve brillante di un gruppo rimasto assente troppo a lungo e a cui non posso che rivolgere caldamente il mio: Bentornati!
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