The Mama Bluegrass Band DOGS FOR BONES
Già il nome della band di Varese è la dichiarazione d’intenti a cui fare riferimento per capire, prima ancora dell’ascolto, cosa si può ritrovare tra i solchi di questo ottimo album. E infatti è così; buona, anzi, ripetiamo, ottima musica “americana” di estrazione roots suonata da italiani che non fanno minimamente rimpiangere i padri fondatori del genere.
Formazione e strumenti sono quelli classici che ci si può aspettare dalla tradizione: chitarre acustiche ed elettriche, basso e batteria, piano e organo, lap steel guitar, violino e banjo (quest’ultimo spesso indiavolato, a volte più compassato, sempre delizioso) ai quali si aggiungono una tromba, un flauto e qualche percussione a seconda dei brani. Il risultato è un coacervo felice di ballate speziate di country, di cavalcate infuocate su praterie più bluesy, e di rock’n’roll sporco al punto giusto.
Ecco quindi che sotto la guida di un basso rutilante e di chitarre che passano con estrema disinvoltura da riverberi Morriconiani a distorsioni Rollingstoniane (What are you looking for?) si può godere, tra le varie piccole gemme di questa collana, di una ballata veloce e splendida come Go on che farebbe la felicità di Steve Wynn, (o il rammarico per non averla scritta lui), la bellissima cavalcata western The legendary robbery on the lakes’ highway, o la più traditional song Moon, brani che, insieme agli altri che compongono l’album, mantengono la tradizione americana calandola però nella virulenza di un suono particolarmente potente e incisivo.
Non si può non rivolgere un pensiero a chi altri, in tempi più o meno recenti, ha mantenuto alto il vessillo dell’american roots, quindi ecco che lo spirito di Bruce Springsteen si ripresenta più volte (Don’t let non one bring you down, Hometown) così come quello di Pete Seeger (A better way), di Johnny Cash (Moon), dei Creedence Clearwater Revival (Do you think anything changes) o del già citato Steve Wynn (Bad penny). In definitiva un bellissimo album per gli amanti dell’american old style, che a livello italiano si può paragonare per qualità e valore alla mai troppo lodata operazione ultradecennale portata avanti dal corregionale Fabio Treves per quanto riguarda il blues.
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