David Sylvian, Stephan Mathieu, Christian Fennesz – The Kilowatt Hour 22 settembre 2013 , Roma, Auditorium Parco della Musica
Di David Sylvian sappiamo praticamente tutto. Dopo l’esperienza new wave con i Japan a cavallo degli anni 80, Sylvian si dedicò completamente al progetto solista realizzando tre album capolavoro in quattro anni come "Brilliant Trees” (1984), "Gone to Earth” (1986) e "Secrets of the Beehive” (1987), capaci di far innamorare generazioni di adolescenti. A caratterizzare quella musica vi era una ricerca musicale che cercava di fondere insieme il pop e la sperimentazione, in un equilibrio per certi versi coraggioso. Appartengono a quegli anni le collaborazioni con Ryuichi Sakamoto, Mark Isham, Holger Czukay, Robert Fripp, David Torn. La collaborazione con Holger Czukay, tra i fondatori dei Can, portò alla realizzazione di lavori sperimentali come "Plight and Premonition” (1988) e "Flux and Mutability” (1989). Ancora più intensa fu la collaborazione con Robert Fripp, anima creativa dei King Crimson, che dopo aver impreziosito "Gone to Earth" con straordinarie atmosfere, lavorò insieme a Sylvian in "The First Day” (1993) e "Approaching Silence” (1999). A cavallo degli anni duemila, assistiamo ad un ulteriore cambio di rotta del musicista inglese che lo portò a valorizzare la voce all’interno di strutture sonore minimali, come in "Blemish" (2003) e in "Manafon” (2009).
Appartengono a questi anni le collaborazioni con Christian Fennesz, musicista e chitarrista austriaco divenuto famoso per la bellezza e la complessità delle sue texture ambientali, come quelle che hanno caratterizzato l’acclamato "Endless Summer" (2001), ma anche "Venice" (2004) e "Black Sea" (2008). La collaborazione con Stephan Mathieu è invece più recente ed è legata alla rivisitazione di Flux and Mutability nel 2011 e all’album "Wandermüde” (2013), rilettura elettro-acustica di "Blemish", in cui l’album viene decostruito e dilatato all’interno di strutture sonore drone-ambient. Il sodalizio tra Sylvian, Mathieu e Fennesz cresce attorno ad un progetto di Sylvian, nel quale il musicista londinese si proponeva di trasporre in musica le liriche di "Kindertotenwald" del poeta americano Franz Wright. La sincera amicizia tra Sylvian e Wright aveva portato il musicista inglese in Massachusetts per registrare alcune poesie dalla viva voce dell’autore. Forse a causa dell’aggravarsi delle condizioni di malattia del poeta americano, il progetto denominato The Kilowatt Hour prese definitivamente forma, sviluppandosi come un viaggio di esplorazione dell’oscurità dell’esistenza, in cui infanzia e morte sembrano legarsi a doppio filo. A Roma il concerto The Kilowatt Hour si apre nel suggestivo scenario dell’Auditorium Parco della Musica e della rassegna Meet In Town. Alle 21 e 15, in una sala completamente buia, Mathieu, Fennesz e Sylvian prendono posto iniziando a sviluppare una trama elettronica sulle quali si innestano ulteriori strati di improvvisazione.
Lievi entità sonore sembrano dare senso a una vita biologica immersa in uno smisurato cosmo inorganico. Il risultato è certamente suggestivo. Un flusso ipnotico persistente, spesso inquieto e cupo, avvolge lo spettatore attraverso sonorità che ricordano le atmosfere cariche di memorie ancestrali di "Plight and Premonition". L’opera si sviluppa come una riflessione sulla fragilità dell’esistenza terrena, in cui le immagini di una natura bellissima, ma sorda, amplificano le inquietudini legate alla incapacità di comprendere appieno il senso di quell’esperienza. Le atmosfere e le sensazioni potrebbero costituire la colonna sonora ideale di “Tree of Life” di Terrence Malick, in cui la fragilità dell’esistenza è immersa in una natura che la sovrasta e che la tiene ancorata a sé attraverso legami per certi versi sorprendenti. La narrazione è affidata alla voce di Franz Wright, a quelle registrazioni che Sylvian aveva eseguito in Massachusetts. Dopo quasi un’ora, il finale schubertiano chiude un concerto caratterizzato da numerosi momenti di suggestione. Il giorno seguente le sensazioni di The Kilowatt Hour continuano a rimanere impresse nella mente, come se quelle atmosfere avessero davvero scavato nell’inconscio. Era questo l’obiettivo che Sylvian, Mathieu e Fennesz si erano riproposti e che hanno certamente raggiunto.
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