Hammond Guthrie Carmen McRae in the Rain (da “AsEverWas”) (IT/ENG VERSION)
Hammond Guthrie: "AsEverWas"
Ho conosciuto (virtualmente) Hammond Guthrie per caso, durante le mie peregrinazioni in Facebook, attratto dai suoi post in inglese approfonditi, soprattutto su artisti e band degli anni 60, con ampi, dettagliati e inediti particolari, se non piccoli racconti veri e propri. C’è voluto davvero poco tempo per cominciare a scambiarci idee ed interessi musicali e di vita: la straordinaria disponibilità di Hammond ha fatto sì che gli facessi conoscere subito il web-magazine Distorsioni che state leggendo, e che lui ha apprezzato, ma soprattutto che io realizzassi di stare parlando con uno scrittore-pittore americano di grande fama, dai trascorsi esistenziali intensissimi, ammalato di rock.
Hammond Guthrie ha scritto un importante e prezioso libro di memorie, “AsEverWas” (A Self-Descriptive Biopathy) Memoirs of a Beat Survivor, pubblicato in Italia nel 2006 in lingua originale inglese. Il libro copre la sua vita di beatnik errabondo tra San Francisco, Londra, Amsterdam, Parigi e Nord Africa (Tangeri) durante gli anni 1968-1976. Hammond Guthrie narra dei suoi incontri con gli Acid Tests, le Mothers, Buffalo Springfield, Richie Havens, Ferlinghetti, Ginsberg, Hoppy Hopkins, UFO Club, International Times, Burroughs, Kenneth Allsop, John Fowles, Man Ray, Parade Bar, Barbara Hutton, Paul Bowles, Tennessee Williams, ed inoltre con contrabbandieri, carcere molto altro ancora. L'autore attualmente vive a Portland, Oregon, è redattore del 3 Page - Journal of On-Growing Natures , continua a dipingere, ed é al lavoro su una nuova serie di racconti intitolato: “Biopathic Tendencies” (1976-1992).
Ed è proprio da “AsEverWas” che Hammond, su mia richiesta, ha carinamente acconsentito a far pubblicare su Distorsioni - tradotto in italiano dalla nostra impagabile Myriam Bardino - uno degli illuminanti racconti-incontri che lo compongono, scelto proprio da lui, ambientato a San Francisco nell’inverno del 1967: quello su e con una delle più grandi e sensuali cantanti jazz del ventesimo secolo, una Carmen McRae quasi cinquantenne (New York 8 Aprile 1920 - Los Angeles 10 Novembre 1994) incrociata casualmente per uno di quei strani casi che il destino a volte riserva. Il racconto è stato anche pubblicato sul sito ufficiale di Carmen McRae. Non è escluso che Guthrie sia in futuro prodigo con Distorsioni di altri estratti dal suo volume: per il momento vi auguro buona lettura! (Pasquale Wally Boffoli)
‘Carmen McRae nella pioggia’, di Hammond Guthrie (San Francisco - Inverno1967)
Ritornato in città, davanti a me una tempesta imminente, i miei passi veloci sul marciapiedi verso la fine di Polk Street, pensando al calore del nostro appartamento al terzo piano, quando un pezzo di scotch che teneva una pezzo di carta attaccato all'interno della finestra di un squallido piccolo bar attirò la mia attenzione. Incuriosito, mi avvicinai a leggere la nota. Il posto, dentro era completamente buio e chiuso con un catenaccio, ma questo scarabocchio infantile diceva: ‘10. Pm-CarmenMcRae’. Mi misi a ridere e la pioggia cominciò a cadere, pensando a quanto improbabile sarebbe stata quella performance e ripresi la strada verso casa. Ma non potei tenere la voce di Carmen fuori dalla mia testa. La città era allora nella sua epoca psico- drammatica dei festival itineranti e benché non abbia apprezzato molto le balere e il loro ambiente, avevo un personale interesse per i concerti che capitavano in posti come il Jazz Workshop a North Beach e il Both/And nel quartiere del Fillmore. Si iniziava appena a parlare di free jazz e il mio obiettivo in quel momento era su musicisti quali Thelonious Monk, Roscoe Michell, Sun Ra, Ornette Coleman, Bill Evans e John Coltrane. Al fine di capire meglio questo tipo di musica spesi una considerevole quantità di tempo ad ascoltare il lavoro di musicisti precedenti quali Coleman Hawkins, Lester Young, Charlie Parker, Art Tatum, e il suono ineguagliabile delle big bands di Benny Carter, Charlie Barnett, e la Count BasieOrchestra.
Fu durante questa fase di auto-educazione che sentii per la prima volta la voce unica e vibrante di Carmen McRae, la pretendente contemporanea della grande Billie Holiday, che registrò una delle prime composizioni di Carmen, Dream of Life. Di qui la mia riserva che una cantante così formidabile si sarebbe esibita in un brutto bar di Polke Street alle 10 di sera, in una notte umida di un Mercoledì. Mentre la serata continuava in una delle peggiori tempeste a memoria d’uomo, ho continuato a pensare a Carmen McRae, alle sue interpretazioni di Billie Holiday e ho iniziato a chiamare un paio di jazz club per avere conferma del concerto. Alle nove ho ceduto, e nel dubbio che quel postaccio fosse ancora aperto indossai una giacca sportiva sotto uno di quegli impermeabili anti pioggia che si trova per meno di dieci euro e ritornai a Polk Street. Con mia grande sorpresa, il cartello era stato rimosso e c’era al suo posto un piccola scritta: ‘OPEN’. Dopo aver depositato il mio impermeabile all’ingresso, lascio che i miei occhi si abituino ala decorazione del bar un po’ gay. Mi sentivo completamente inzuppato dalla pioggia e un po’ fuori luogo quando il barista, apertamente gay, si precipitò al tavolo dove sedevo per prendere il mio ordine.
Io non riuscivo a chiedergli se ci fosse anche da pagare un extra per il concerto. Questo bar completamente insignificante non aveva nemmeno un palco o un pianoforte. Mi rassicurò un po’ vedere anche altri quattro o cinque avventori, tra cui una coppia di colore riempire i tavoli rimanenti. Poco prima delle dieci, mentre ero seduto a intrattenere il mio whisky e il mio dubbio, lo spumeggiante barista tirò fuori da dietro ad una pesante tenda un vecchio piano da muro, e tornò sul suo trespolo dietro al bar. La poca luce che c’era si oscurò, e senza introduzione apparve Carmen McRae: ‘Buona sera a tutti’, e si sedette davanti alla tastiera. Canto’ degli standard famosi uno dopo l'altro per ben quarantacinque minuti, davanti a un pubblico fortunato di una mezza dozzina di persone, completamente silenzioso (se non completamente ammaliato). Durante una pausa Ms. McRae disse che venti anni prima il bar era stato un grande after-hours, un luogo di ritrovo per i musicisti jazz di passaggio. Lei e il proprietario erano rimasti amici, e quando si fermava in città le piaceva ‘fare una sorpresa, senza essere annunciata e cantare per un po’.
Carmen continuò per altri trenta minuti in un’atmosfera di intimità, ipnotizzando la piccola sala con le sue classiche interpretazioni delle canzoni di Billie Holiday, tra cui una rara esecuzione di Don’t Explain. Dopo il nostro applauso inaspettatamente chiuse il suo set improvvisato con un incredibile pezzo di skat al piano preso da Cherokee di Charlie Parker. Carmen ci ringrazio’ per l'ascolto e si unì ad alcuni amici ad uno dei tavoli. Il barista rimise il piano dietro la tenda e, fatta eccezione per la sua presenza anomala, il bar ritornò al suo aspetto anonimo. Dopo l’ultimo drink e dopo aver preso il mio impermeabile mi diressi al cafe’ bar vicino, il Cedar House Alley, per un doppio espresso che mi aiutasse a rientrare a casa. Quando mi avventurai di nuovo fuori, la tempesta era scatenatissima, e mi fermai a riprendere fiato sotto un tettuccio di una porta accanto al bar dove Carmen aveva suonato. Proprio in quel momento si aprì una porta dietro di me, e ne uscì Carmen McRae!
Rimase lì un attimo prendendosi la pioggia torrenziale, e le rivolsi la parola con tutto il coraggio e decoro che potei trovare in me: ‘Mi scusi signora McRae, io ero qui questa sera e ho apprezzato il suo concerto, ma davvero non dovrebbe essere qui da sola in una notte come questa!’. Mi sono poi innocentemente offerto di accompagnarla dovunque andasse. Lei mi dispiegò un sorriso che non dimenticherò mai, e appena il suo taxi si fermò accanto al marciapiede, mi disse con tutta sincerità: ‘Giovanotto, sei un gentiluomo, se fossi qualche anno più giovane e non avessi già dei piani avrei volentieri accettato la sua offerta’. Appena seduta sul sedile posteriore, si fermò per un attimo, mi guardò teneramente con il suo sguardo indelebile e mi salutò con la mano dal finestrino posteriore. Veramente lusingato, rimasi lì a lungo, arrossendo al vento, mentre l'immagine dell’apparizione fortuita di Carmen McRae nella mia vita stava sparendo nella pioggia.
(Traduzione di Myriam Bardino)
'Carmen McRae in the Rain', by Hammond Guthrie (San Francisco - Winter 1967)
It is from "AsEverWas" that Hammond, at my request, has nicely agreed to require publication of Distortions - translated into Italian by Myriam Bardino our priceless - one of the illuminating stories that make it up-dating, chosen by him, set in San Francisco in the winter of 1967: one on and one of the largest and most sensuous jazz singers of the twentieth century, nearly a fifty year old Carmen McRae (April 8, 1920 New York - Los Angeles November 10, 1994) for randomly cross one of those strange cases Sometimes fate reserves. The story was also published on the official site of Carmen McRae. Guthrie is not excluded that in the future by the Prodigal Distortions of other extracts from his book: for the moment I wish you good reading! (Pasquale Wally Boffoli)
Back in the City, I was just ahead of an impending storm front, sidewalk down on the lower end of Polk Street, making for the warmth of our third floor walk-up, when a torn scrap of paper scotch taped inside the window of a dingy little bar caught my attention. Curious, I walked over to read the note. The joint was completely dark inside and pad-locked tight, but the childish pencil scrawl read: "10 p.m.- Carmen McRae." I laughed as rain began to fall, thinking how improbable a performance that would be, and made for home. But I couldn’t get Carmen’s voice out of my head. The City was then in its psychodramic era du Trips Festival, and though I enjoyed the ballrooms and their condiments as much as the next person, I took a more personal interest in the sets happening in clubs such as the Jazz Workshop in North Beach and the Both/And in the Fillmore District. Free Jazz was beginning to come around, and my focus at the time was on musicians such as Thelonious Monk, Rosco Michell, Sun Ra, Ornette Coleman, Bill Evans and John Coltrane.
In order to get up with this kind of music I had spent a considerable amount of time listening to the work of earlier players - Coleman Hawkins, Lester Young, Charlie Parker, Art Tatum, and to the incomparable big band sound of the Benny Carter, Charlie Barnett, and Count Basie Orchestras. It was during this background education that I first heard the uniquely vibrant voice of Carmen McRae, the younger contemporary and eventual confidant to the great Billie Holiday, who recorded one of Carmen’s earliest compositions, "Dream of Life." Hence my reservation that the formidable singer would be performing in a nasty little dive on Polk Street at 10 p.m. on a wet Wednesday night. As the evening progressed throughout one of the worst storms in memory, I kept thinking about Carmen McRae, played Billie Holiday albums and, without any affirmative results, called a couple of jazz clubs in inquiry.
At nine o’clock I gave in, still doubting that the seedy little tavern would even be open for business, put on a sport coat under ten pounds of rain gear and made my way back to Polk Street. To my surprise, the missive had been removed and in its place a small neon blinked "OPEN" and after depositing my slicker at the door, I let my eyes adjust to the bar’s campy interior. I felt soggy and a little out of place when the overtly gay bartender swooned by my table for my drink order. I just couldn’t bring myself to ask him if there was a cover charge - the unremarkable bar didn’t have a stage or a piano. I brightened a bit when four or five other patrons, including a black couple, filled up the remaining tables. Just before ten o’clock, as I sat nursing my whiskey and doubt, the flamboyant bartender rolled out an old upright from behind a heavy curtain and returned to his perch at the bar. What little light there was dimmed, and without prelude beyond saying, "Good evening, everybody," Carmen McRae herself sat down at the keyboard. She sang one glorious standard after another for a good forty-five minutes to a completely silent (if not stunned) audience of a dozen or so very lucky people. During a casual break Ms. McRae commented that twenty years before, the bar had been a great after-hours hangout for jazz players in transit. She and the owner had remained friends, and whenever she stopped in the City, she said she liked "to fall in, relatively unannounced, and sing for a while."
Carmen went on for another intimate thirty minutes, mesmerizing the tiny house with her classic interpretations of Billie Holiday songs, including the rarely performed "Don't Explain" Following our applause, she quite unexpectedly closed her impromptu set with an amazing piano skat take on Charlie Parker’s composition, "Cherokee" Carmen thanked us for listening (!) and joined some friends at one of the tables. The bartender rolled the piano back behind the curtain and, except for her anomalous presence, the bar returned to its unremarkable condition. Following a night-cap I gathered up my rain gear and repaired to the nearby Cedar Alley coffee house for a double espresso to aide me home. When I ventured out again, the storm was at its most furious, and I stopped to catch my breath under an awning next door to the bar where Carmen had performed. Just then, a door opened behind me, and out walked Carmen McRae! She stood there a moment taking in the torrential downpour, and I addressed her with as much courage and decorum as I could muster.
"Excuse me, Ms. McRae, I was here earlier this evening and thoroughly enjoyed your performance, but, really, you shouldn’t be out here by yourself on a night like this!" I then innocently offered to escort her to wherever she was going. She smiled a smile I will never forget, and as her cab pulled to the curb, she said to me with all sincerity: "Young man, you are a gentleman - if I was just a few years younger and didn’t already have plans, I would take you up on that offer." As she got into the back seat, she paused for just a moment - her indelible eyes took me inside so tenderly, as she waved me good-by from the rear window. Truly flattered, I stood there forever, actively blushing in a precipitant wind as the image of Carmen McRae’s unlikely presence in my life disappeared in the rain.
This vignette is taken from Hammond's recently completed book of memoirs: AsEverWas (A Self-Descriptive Biopathy) which covers his life and times in San Francisco, London, Amsterdam, Paris and North Africa during the years (1968 -1976). The author currently lives in Portland, Oregon, where he is at work on a follow-up volume of vignettes titled Biopathic Tendencies (1976-1992). Copyright 2001 Hammond Guthrie