Clinton Heylin ALL THE MADMEN. IL LATO OSCURO DEL ROCK BRITANNICO
Qual è il legame che unisce follia, droga e genio creativo? E soprattutto esiste questo legame? Due domande cruciali per tentare di comprendere passaggi e personaggi cruciali della storia del rock. Domande a cui dà una sua risposta il critico musicale britannico Clinton Heylin (autore fra l’altro di pregevoli saggi su Dylan) attraverso l’analisi della carriera di artisti che con la follia e l’uso di droghe hanno avuto una lunga e spesso drammatica frequentazione. Syd Barrett e i Pink Floyd, David Bowie, Nick Drake, Ray Davies, Pete Townshend, Peter Green furono autori di alcuni fra gli album più importanti e influenti del decennio 1965/1975 preso in esame da Heylin. Musicisti geniali e amatissimi ancora oggi, ma che spesso viaggiarono sul pericoloso borderline che può precipitarti nella depressione e nella follia, come accadde a Barrett e a Drake, sul cui declinare verso la più cupa depressione e la catatonica chiusura al mondo esterno il libro contiene pagine bellissime e indispensabili per capire i due artisti.
Per Heylin non solo in quegli anni si sottovalutavano gli effetti sulla mente dell’uso eccessivo di droghe come l’LSD, e cita Pete Quaife dei Kinks: "L’LSD ha cambiato un sacco di tipi in gamba in coglioni", o il blocco creativo che proprio l’acido lisergico provocò nel fortemente instabile Pete Townshend, ma la follia, e particolarmente la schizofrenia, anziché essere considerata una malattia mentale veniva vista come una forma più alta e profonda di conoscenza. L’autore su questo punto è molto critico con il teorico dell’antipsichiatria Richard Laing, molto influente sulla controcultura dell’epoca, che sosteneva che "La mente divisa dello schizofrenico potrebbe lasciar entrare della luce che non penetra nella mente intatta di molte persone sane la cui mente, però, è chiusa".
La schizofrenia, lo sdoppiamento della personalità, sono tratti distintivi e comuni che Heylin individua in molti degli album che apparvero in quegli anni, si pensi a David Bowie che, ossessionato dalla follia presente nella linea materna della sua famiglia, crea con Ziggy Stardust il suo doppio, sublimando nell’arte le tendenze schizofreniche e probabilmente preservando così un sia pur precario equilibrio mentale, oppure ai tormentati protagonisti di "Tommy" e "Quadrophenia". Cosa che non riuscirà ad altri due geni della scena musicale britannica come Syd Barrett e Nick Drake che sprofonderanno in una dolorosissima depressione che annienterà la loro geniale creatività. Percorsi diversi, alcuni finiti tragicamente, altri invece verso una salvezza costata molti dolori, ma tutti giocati sul filo sottile che separa bizzarria e follia, seguendo una linea che per Heylin − e Bertoncelli nella sua prefazione − è caratteristica dell’Inghilterra almeno fin dai tempi di Shakespeare, e al tema della follia fra gli artisti inglesi l’autore dedica un’apposita appendice. Un saggio intrigante e di grande interesse, scritto con intelligenza e passione e che guarda al rock secondo una prospettiva in gran parte inedita, ponendoci domande difficili da eludere. Una ci risuona ancora nella testa: avrà ragione Pete Townshend quando nel 1973 dichiara che "la ragione per la quale il rock è ancora in circolazione è che non si tratta di musica per giovani, ma di musica per i frustrati e gli insoddisfatti"? Oddio, che questo libro parli un po’ anche di noi?
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