Kay McCarthy L’irlandese italiana
Kay McCarthy è la voce e l'arpa celtica che dagli anni ’60 unisce (o annulla) i 2000 km che dividono l’Italia dall’Irlanda. Nata a Dublino ma naturalizzata italiana, è stata la fondatrice del primo festival di musica irlandese del nostro paese “Irlanda in Musica”, organizzato inizialmente nel mitico Folkstudio di Roma. Indubbiamente senza di lei sarebbe mancato un importante tassello della musica folk italiana. Alla fine di una discografia in lingua nella madre lingua irlandese comprendente nove lavori, culminata nel doppio album (CD+DVD) “Quintessence” (2010), il primo dicembre 2013 Kay McCharty ha pubblicato per l’etichetta di Montefiascone Storie Di Note il suo primo disco interamente in lingua italiana, un lavoro di un’intensità particolare, “L’amore tace”. E’ un’opera musicale che intreccia la canzone popolare italiana con quella irlandese cercando quel profondo della poesia che le connota entrambe e le unisce. Passi nella notte è un discendere in un piano che riprende un aria gaelica e si trasforma in una poesia notturna, L’ultima preghiera è un ibrido di chitarra classica e cantato anglo italiano meditabondo. La ragazza dell’Est. voce e fisarmonica, è esattamente alla base del folk come Naufragio e il Treno dei Pendolari. L’amore Tace è un disco di rara bellezza, contiene l’essenza del folk, possiede un pathos antico di sapori e colori. Abbiamo incontrato Kay McCarthy per Distorsioni.
L'INTERVISTA
Pietro Bizzini (Distorsioni) - Ci puoi svelare subito un segreto, com’è riuscita la piccola Irlanda ad incidere così tanto sulla musica contemporanea mondiale?
Kay McCarthy - Perché la musica irlandese è semplicemente bella! Quando dico “semplicemente” intendo la semplicità della musica irlandese, la sua squisita essenzialità melodica dove ci sono solo le note che servono. È una musica arcaica, autentica; penetra in profondità facendo vibrare quella corda intima e primordiale che ci accomuna tutti. In Irlanda siamo, da secoli, specialisti del suono: la parola, il canto. Quando la civiltà classica era all’apice, noi eravamo ancora nomadi con una letteratura orale favolosa (che grazie ai monaci medievali si è conservata in parte). Fino a poco tempo fa (non so oggi!) eravamo esteticamente esigenti in materia di espressione linguistica e musicale. A scuola s’imparava ascoltando e ricordando; i dati appresi si trascrivevano a posteriori facendo leva sulla memoria audio-orale.
La musica Folk e la World Music hanno conquistato il grande pubblico, c’è molto interesse intorno ad essa; ma, cos’è secondo te la World Music, qual è la sua essenza?
È un po’ come dicevo sopra: una musica senza confini, che emoziona l’ascoltatore di qualsiasi provenienza etnica, culturale, linguistica, anche quando, come nel caso del canto, non si capiscono le parole del testo.
Da dove è partito il progetto che ti ha portato a registrare l’Amore Tace? Come hai scelto gli artisti che ti hanno accompagnato?
L’idea di base è partita da Piero Ricciardi (mio marito) poeta, che scrive solo in italiano. Non gli ho mai insegnato l’inglese, tanto meno il gaelico! Ho voluto fare un omaggio sia alle sue composizioni, sia alla mia “matria” di adozione, l’Italia. Piero, che ha un’anima fortemente politica, scrive di faccende dei giorni nostri. I musicisti sono tutti amici, artisti che conosco o mediante l’etichetta Storie Di Note (come Arturo, Alfonso e Leno) o dai vecchi tempi del Folkstudio di Roma. Ad ognuno ho proposto una collaborazione a “quattro mani”… et voilà!
Non dev’essere facile cantare un disco in un’altra lingua. Perchè hai scelto preminentemente l’italiano e come sei riuscita a “piegarlo” alle sonorità irlandesi?
Ho scritto e registrato tutte le canzoni sia in italiano sia in inglese. Ero restia a cantare in italiano perché si sente il mio accento straniero, temevo l’effetto ‘Stanlio e Olio’, ma Piero mi ha convinto che quel piccolo difetto di pronuncia ha un suo fascino (e se lo dice lui!). Per cucire insieme note e parole, ho cantato tra me e me, modificando il testo fino a quando note e parole non sembravano combaciare. Durante le registrazioni alcune volte i musicisti e i tecnici mi hanno consigliato parole alternative quando qualcosa non sembrava fluire a dovere.
Cos’hai trovato nella sonorità della lingua italiana che non hai trovato nell’inglese o nel gaelico? Quali similitudini?
L’italiano è una lingua sillabica, il che significa che ogni sillaba ha più o meno la stessa durata temporale. È la lingua della lirica, dove è regina. Non flette come l’inglese che si scandisce elasticamente in base agli accenti tonici delle singole parole ma anche dell’intera frase. Poi c’è il fatto che le parole italiane terminano tutte per vocale, mentre sia l’inglese che il gaelico terminano con tutte le lettere. In italiano ci sono solo sette suoni vocali, in inglese decine, in gaelico ancora di più.
Perchè l’amore tace?
In una poesia di Piero di qualche anno fa c’era il verso “l’amore tace”. Credevo che potesse sintetizzare la percezione che abbiamo certe volte che l’amore taccia, che l’abbiano fatto tacere, messo, per così dire, in minoranza. Poi c’è l’idea che quando tutti urlano bisogna riflettere in silenzio “alla ricerca dell’Amore perduto”. In un’altra mia composizione, Whisper softly (sul CD “Quintessence”) esprimo un concetto simile: “whisper softly to me, I want to hear you”. “Parlami piano che ti voglio sentire”.
L’amore Tace ha un’anima vivace come in La ragazza dell’Est oppure Il treno dei Pendolari ma anche molto intimista come in Il Corpo o Separazione, due anime cercate o semplicemente trovate durante la stesura?
Né l’una né l’altra cosa. Ci sono sempre state queste due tra le mie tante anime caleidoscopiche. Si può dire che hanno messo la loro impronta sulle composizioni?
Quanto hai visto la musica cambiare dagli anni ’60 ad oggi?
Essendo una “baby boomer” sono legatissima agli anni 60. Ascolto sempre con piacere gli artisti dell’epoca. A parte lo stile e la tecnica d’esecuzione, credo che i testi di oggi siano cambiati molto; stento a sentire le parole per la maniera sciatta con la quale spesso sento pronunciarle, espressioni gergali ed anche per il troppo suono che affoga le voci; quando riesco a cogliere le parole, mi sembrano spesso banali, non mi toccano come i testi dei miei “anni verdi”. Ma poi, forse sono io che sono cambiata? Una cosa molto importante che è cambiata davvero: la fruizione della musica! Allora c’era il 45rpm, il 33rpm, che si ascoltavano solo a casa con lo stereo, in maniera solenne e rituale, quasi religiosa, oppure più sportivamente, in giro col mangiadischi. La qualità dell’analogico. Ora tutti con gli i-pod e auricolari; musica non richiesta nei ristoranti, nei bar, nelle stazioni del metro… ecco perché l’amore non trova uno spazio sonoro dove esprimersi! Tace, quindi!
Quanto hai visto l’Irlanda cambiare dagli anni ’60 a oggi?
Negli anni 60 l’Irlanda era un paese povero, agricolo ed arretrato; era piena anche di contrasti politici, religiosi. Non era cambiata molto dai tempi di “Gente di Dublino” di James Joyce. Per noi bambini della mia famiglia era un paradiso, dove si diventava adulti molto, ma molto lentamente. Questa mia infanzia incantata, “medievale” e protratta mi ha aiutata molto anche se sono dovuta crescere anch’io … ma molto lentamente. Sto ancora crescendo! Oggi l’Irlanda della mia infanzia e adolescenza, bigotta e chiusa, si è liberata dai vecchi schemi, è diventata più aperta alle novità, è entrata nell’era moderna, nel XXI secolo. Ha guadagnato, e guadagnando ha perso. C’est la vie!
Quanto hai visto l’italia cambiare dagli anni ’60 a oggi?
Sono venuta in Italia all’inizio degli anni 70. C’ero stata per imparare la lingua nel 1967 e 1968, ma d’estate, quando tutto il paese sembrava essere in vacanza! Negli anni 70 c’era molto fermento politico e culturale anche se si stava sotto la cappa degli anni di piombo. Ora si ha un senso di stasi … di un luogo dove l’amore tace!
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