The Bevis Frond White Numbers
[Uscita: 07/05/2013]
# CONSIGLIATO DA DISTORSIONI
Quando uscì in edizione semi-clandestina il primo album di (o “dei”: tuttora non si sa quale sia la dizione corretta) Bevis Frond, a noi diciottenni sbagliati del 1987 - affamati di vibrazioni sixties che potevamo vivere solo di riflesso - uno come Nick Saloman sembrava arrivare da un altro tempo e da un altro mondo. Per questo lo adoravamo. Almeno, chi scrive lo ha adorato fino all’ossessione: ventitré album e svariati singoli sugli scaffali stanno lì a dimostrarlo. Uno zio hippy, non troppo vecchio, che ci raccontava a colpi di feedback, wha wha, melodie beatlesiane e divagazioni folk un “beautiful old world” che da sempre è la nostra Shangri-La. Oggi, trascorso un ulteriore quarto di secolo, la nostalgia è diventata nostalgia al quadrato, e forse ormai apparteniamo tutti a un altro tempo e a un altro mondo. L’unica cosa che non cambia, grazie a dio, è che Nick continua a scrivere grandi canzoni. Tra le ventiquattro che compongono la scaletta di questo “White Numbers” ce ne sono alcune che potrebbero stare tranquillamente in una antologia definitiva del monumentale songbook firmato dal musicista londinese. Per esempio Cruel World, con quel riff melodico alla Bob Mould che ti si pianta subito in testa; Tree Line, ballata rock anni ’70 malinconica eppure inspiegabilmente gioiosa; Alta, aggraziata da un arpeggio iniziale e da nervature raga-rock; More Chalk, pop da Pepperlandia situato all’incrocio tra McCartney, Small Faces e Idle Race; la dolcissima oasi acustica, degna del miglior Richard Thompson, di White Numbers. Ovviamente non mancano, come è costume del personaggio, qualche masturbazione chitarristica e le solite inevitabili lungaggini. Definizione che per Homemade Traditional Electric Jam, l’improvvisazione registrata in presa diretta che chiude l’album, suona quasi un eufemismo: più che una canzone è un disco bonus, visto che ha una terrificante durata di quarantadue minuti e undici secondi. Nessuno la ascolterà per intero più di una volta, ma va detto che il…viaggio vale il prezzo del biglietto: dalla partenza alla Grateful Dead all’arrivo in zona Hawkwind, scollinando su declivi hendrixiani e attraversando vallate alla Country Joe & The Fish, la cavalcata non annoia neanche troppo, e sicuramente i fans delle vecchie “Acid Jam” frondiane saranno soddisfatti. La compattezza sonora della band che accompagna Nick – Adrian Shaw a basso, Dave Pearce alla batteria e Paul Simmons alla chitarra – indubbiamente aiuta; ammirevoli i dischi interamente do-it-yourself (e quanti ne ha fatti, il Nostro!), ma alla lunga finiscono per mostrare la corda. Ed è un peccato, per un songwriter di talento quale è Saloman. Uno che, nonostante i sessant’anni suonati, continua a regalarci dischi strepitosi come questo.
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