Arena THE UNQUIET SKY
[Uscita: 23/03/2015]
Inghilterra
Prende spunto da “L'incantesimo delle rune” - racconto di Montague Rhodes James, da cui fu tratto nel 1957 l'horror diretto da Jacques Tourner “La notte del demonio” - l'ottava fatica discografica dei redivivi Arena tornati in sala d'incisione a quattro anni di distanza da “The seventh degree of separation”. Capitanata dagli storici fondatori Clive Nolan e Mick Pointer e dal veterano chitarrista John Mitchell, la band d'oltremanica con “The unquiet sky” si accinge a celebrare vent'anni di rispettabile carriera; dalle prime prove di metà anni novanta in perfetto stile neo prog (Nolan e Pointer arrivavano rispettivamente da esperienze con Pendragon e Marillion) le velleità artistiche degli Arena si sono di volta in volta evolute, fino a sfociare nella realizzazione di composizioni che, seppur mantenendo in parte le melodie tipiche del rock sinfonico e dell'AOR, hanno iniziato a strizzar l'occhio ad atmosfere più roboanti e potenti, dai tratti metal. E se questa metamorfosi ha regalato nel recente passato dischi dalla suggestività alterna quest'ultima prova si presenta mossa da una rinnovata ispirazione creativa. Nella line-up 2015, al fianco del sopracitato trio storico trova posto il vocalist Paul Manzi, in forza dal 2010, ed il debuttante bassista Kylan Amos (in sostituzione di John Jowitt) già compagno di viaggio di Nolan nel progetto alternativo The Caamora Theatre Company.
Minacciose trame orchestrali introducono The demon strikes, traccia di apertura in cui le ottime evoluzioni canore di Manzi sorreggono riff sostenuti dall'intercalare epico. Gli struggenti arpeggi della ballad How did it come to this ? anticipano l'oscillante incedere di The bishop of lufford sospeso tra aure di filastrocche e carillon ed affondi secchi di chitarra con epilogo dalle cadenzate sfumature blues. Il ticchettio dei tasti di una macchina da scrivere e dei dilatati tocchi di piano segnano Oblivious to the night composizione di passaggio dalla breve durata che anticipa No chance encounter, perfomance dai ripetuti cambi di tempo in cui Pointer riesce ad alternare ritmiche arrembanti heavy ad altre cadenzate, in chiave simil reggae, e dove Mitchell si eleva dall'interplay di turno in un solenne assolo della sua sei corde. Le dilatate e ascetiche atmosfere della strumentale Marchings on a parchment introducono la title-track, The unquiet sky, sognante e nostalgica nella sua struttura sinfonica, amabilmente prevedibile nel suo regolare avanzamento. Rimanda ad emozioni lontane dal retrogusto genesisiano l'uso della tastiera di What happened before in cui Nolan dà totale sfoggio delle sua abilità esecutive, mentre la successiva Time runs out si sviluppa tra intermezzi in tempi dispari e sonorità heavy prog.
Returning the curse regge la sua anima, decisamente poco allettante, sui movimenti presagibili di Nolan rivelandosi l'episodio meno azzeccato dell'intero concept. La chiusura di The unquiet sky è riservata a due tracce che sintetizzano al meglio quello che è il marchio di fabbrica, lo stile Arena: nel suo vorticoso crescendo, Unexpected dawn riesce a caricarsi di tutto quel pathos tipico delle ballate della band, diventando devastante nelle aperture floydiane della ritmica di Mitchell e nel cantato malinconico di Manzi. Nell'incedere risoluto dell'epilogo Traveller beware è possibile apprezzare la teatralità delle cavalcate più famose di Nolan & soci, abili nel confezionare da sempre finali melodiosi ed arrembanti. Pur rimanendo stabilmente ancorati ad un mood ben definito e collaudato di band neo prog con attitudini heavy, a differenza degli incerti recenti capitoli, gli Arena di The unquiet sky confermano di essere ancora un'entità viva e vegeta, rispolverando ispirazioni e aspettative che sembravano esser venute meno con il trascorrere degli anni. Molto probabilmente le cause di questa gradita rinascita sono da ricercare, oltre che nella tenacia e passione senza fine degli elementi storici, nella nuova linfa sprigionata dagli ultimi apprezzabili innesti nella band. Citando dal concept, decisamente ‘un'inaspettata nuova alba’.