Wovenhand STAR TREATMENT
[Uscita: 09/09/2016]
Stati Uniti #consigliatodadistorsioni
Wovenhand è essenzialmente la band del suo frontman David Eugene Edwards, musicista di Denver che ha dipanato la sua carriera nei meandri oscuri dell'alt country. Ha iniziato con i 16 Horsepower di Chris Eckman che distribuisce in Europa per la sua Glitterhouse Records i suoi dischi, e ora questo “Star Treatment”, uscito in USA su Sargent House. Il disco è stato realizzato nello studio Electrical Audio di Steve Albini con la produzione di Sanford Parker, stimatissimo produttore della scena metal. Il che testimonia come ormai la strada maestra intrapresa da Wovenhand sia quella verso un suono più duro, dove new wave e post punk evolvono verso sonorità metal e noise, iniziata con “The Laughing Stark” del 2012 e proseguita con “Refractory Odurate” di due anni successivo. Edwards non ha certo dimenticato la sua ispirazione originaria country e folk che rimane e affiora prepotentemente in ballate come Golden Blossom; le influenze etniche che pure avevano caratterizzato gli ottimi primi album della band adesso sembrano finite, purtroppo, in secondo piano, per ritornare qua e là soprattutto in ritmiche di stampo tribale, per esempio in Go Ye Light.
Pare che David Eugene Edwards abbia trovato, nell'evoluzione della sua musica, necessario questo indurimento del suono a dar maggior forza al bisogno di far sentire la sua voce, perché comunque la si pensi i suoi dischi trasmettono un'urgenza e una forza comunicativa figlie di una sincerità e di un bisogno autentici. Edwards è una personalità complessa e tormentata, non a caso associata spesso a Nick Cave, anche per la somiglianza del tono della voce: i suoi testi, infarciti di riferimenti biblici e religiosi (il padre era un biker ma la sua è una famiglia di rigida e austera osservanza religiosa) sono espressione contorta di un autentico rovello interiore. Se la musica mette in primo piano le chitarre, taglienti e rumorose, è la voce a prendere la scena (un cantare di rara intensità): sembra contorcersi nell'evocare immagini dolorose, come se Edwards voglia mettersi metaforicamente a nudo attraverso la sua espressività, uno spleen il suo crocevia tra Jim Morrison, Ian Curtis e Jeffrey Lee Pierce (Gun Club). Un disco, Star Treatment, che fa della drammaticità e dell'intensità la sua arma principale, ma che non raggiunge le vette degli album dell'artista del primo decennio degli anni duemila.
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