Eric Clapton SLOWHAND (35TH ANNIVERSARY EDITION)
[Uscita: 19/11/2012]
Cosa altro aggiungere che non sia stato detto o narrato del leggendario "manolenta" di Ripley nel Surrey? Questo soprannome, attribuitogli nei primi sessanta da Giorgio Gomelsky, è stata la croce e delizia di tutta la sua gloriosa carriera. E' sembrato spesso irriverente come soprannome ma lo stesso Clapton lo ha di buon grado adottato tanto che il suo migliore disco solista si chiama appunto "Slowhand". A differenza degli altri due favolosi chitarristi che con lui hanno reso grandissimi gli Yardbirds, Jeff Beck e Jimmy Page, Eric ha partecipato ad una miriade di formazioni. Ed a capolavori immortali come "Bluesbreakers with Eric Clapton" (1966), all'avventura dei Cream, dei Blind Faith ed a "Layla" (1970) dei notevoli Derek & the Dominoes, gruppo valorizzato dalla presenza del compianto guitar hero e suo "musical brother" Duane Allman. Ma sono storie note a tutti, le rammento solo per quei 2 o 3 più distratti. Pesanti problemi di alcool e droghe ma non solo, hanno fatto sì che la sua carriera solistica, dal 1970 in avanti, sia stato di un livello qualitativo ben inferiore alle precedenti prodezze sopra elencate. Destino insomma un pò identico a quello del baronetto Paul Mc Cartney che anzi nello stesso periodo è riuscito addirittura a fare peggio infilando un disco più brutto dell'altro, anni luce dalle mirabilie beatlesiane.
Lo stile di Clapton in questa fase, 1973-1974 risente molto delle influenze di JJ.Cale e dei ritmi giamaicani di Marley e simili, in clamorosa ascesa all'epoca. Nella versione originale di "Slowhand" uscito nel 1977 per la RSO, che aveva solo 9 pezzi, troviamo proprio la celeberrima Cocaine di JJ come apertura. Un pezzo che forse adesso suona un po' datato ma che all'epoca era un vero tormentone, in positivo sia chiaro. Il resto del disco presenta altri brani notissimi a firma Clapton quali Wonderful tonight, Lay down Sally, che sono forse insieme alla lunga The Core tra le ultime cose davvero buone scritte da lui. Valida la scelta delle covers qui, Mean old Frisco di Arthur Crudrup e soprattutto la bellissima May you never del grande John Martyn, anche lui tristemente scomparso circa 4 anni fa. L'originale di Martyn è inavvicinabile ma tanto di cappello a Clapton per questo tributo ad uno dei più sottovalutati songwriters in terra inglese. Il disco venne prodotto da un grande come Glyn Johns: per lui dischi con Family, The Who, Rolling Stones e molti altri.
Questa nuova edizione è del 35 anniversario e non ne capisco bene il motivo, anzi sì, sotto Natale poi, quando si dice il caso, magari la prossima sarà biennale mi viene da pensare. Risatine sommesse. Qui per giustificare un nuovo salasso economico ai pochi acquirenti di dischi originali i tipi della Polydor hanno aggiunto 4 bonus tracks in studio, di cui 3 inedite assolute. Tra queste la triste Looking at the rain, la breve Greyhound Bus con un' inusuale armonica, carina ma nulla più e Stars strays and ashtrays che è la cosa migliore delle nuove aggiunte. Se devo essere sincero trovo "Slowhand" un buon disco ma se lo confrontiamo con le cose degli anni sessanta il gap qualitativo è abissale. Per ritrovare il Clapton migliore dobbiamo quindi andare a ricercarlo nelle esibizioni live e qui come per incanto rinasce a nuova vita.
Ci viene incontro a tal proposito il cd aggiunto in questa edizione 2012, un live registrato nel celeberrimo Hammersmith Odeon nell'aprile del 1977, in piena epoca punk. Nell'edizione da 2 cd troviamo solo 9 brani, 14 addirittura in quella esagerata da cinque dischetti, che dire? Se vi avanzano 80 euro è vostra. In questo live viene ripercorsa gran parte della carriera di Manolenta, di Derek & the Dominoes: si fanno apprezzare, e molto, Tell the truth e Key to the highway, davvero vibranti ancor più di Layla, sempre scoppiettante certo ma inferiore a quella del disco, e si sa bene il perché. Molto sentito l'omaggio a T Bone Walker con la sua celeberrima Stormy monday qui dilatata oltre i 12 minuti. Come dire: un dejà vu del periodo Bluesbreakers, che la proponevano in versione da standard blues da 4 minuti, ma soprattutto un sentito tributo al grandissimo Duane Allman che era solito proporla regolarmente nei torrenziali live shows dell'Almann Brothers Band. Bella versione quella di Clapton, ma onestamente il funambolo di Nashville nella sua cover di questo classico aveva una marcia in più. Badge è una cosa degli ultimi Cream, qui non ci sono Bruce e Baker e si sente, per fortuna la sei corde del nostro gira che è una meraviglia.
C'è spazio anche per i Blind Faith, una bella composizione di Steve Winwood a nome Can't find my way home, splendida al tempo con la sua voce, un po' meno qui con quella di Ivonne Elliman, volenterosa ma nulla più, sembra quasi un altro pezzo. Ritorna il buon vecchio blues con Further up the road di Bobby Blue Bland, una materia che Clapton inutile dirlo conosce a memoria. Davvero fuori minutaggio l'omaggio a Bob Marley e il super classico I shot the sheriff, 14 minuti ma con l'inevitabile, per l'epoca, e tediosissimo assolo di batteria. Non va meglio con le covers dylaniane, troviamo allora Sign language ma soprattutto Knocking on heaven's door che è un tantino lagnosa con quell'arrangiamento reggato che rovina la magia di una song immortale. Un live comunque di livello più che buono, un' occasione per sentire all'opera il vecchio Eric, non ce ne saranno molte altre, cronologicamente parlando, tra queste "Just one night", gran bel live del 1980 e l'inaspettata e gradita reunion dei Cream nel 2005, ben documentata da un live da lacrime agli occhi. Il mio consiglio d'istinto sarebbe quello di dirottarvi sull'edizione da 2 cd ma forse è meglio aspettare che quei furbetti della Polydor tirino fuori fra qualche mese il live all'Hammersmith nella sua versione integrale, ormai conosco questi giochetti delle case discografiche come le mie tasche. That's all folks.
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